FOCUS - La sfida di Felipe Anderson: quella magia fuggente, una promessa da non dribblare

Pubblicato il 27 novembre alle ore 15.00
27.11.2014 15:00 di Andrea Centogambe Twitter:    vedi letture
Fonte: Andrea Centogambe - Lalaziosiamonoi.it
FOCUS - La sfida di Felipe Anderson: quella magia fuggente, una promessa da non dribblare
TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Federico Gaetano

È stato solo un attimo. Fuggente, ma incredibilmente intenso, magico. Si deve ripartire da lì, da quell'istante. La suola che si fa velluto e accarezza la sfera, la bola che passa veloce da un piede all'altro prima di infilarsi tra Lichtsteiner e Vidal. Poi Buffon rompe l'incantesimo. Era il minuto 86 di Lazio-Juventus, la partita aveva cessato d'esistere già nel primo tempo, ma gesti del genere non si ammirano per caso. Felipe Anderson quella scintilla è in grado di scoccarla ancora e ancora. Ha solo bisogno di tempo, di sicurezza, di scrollarsi di dosso ansie e timori che i suoi occhi proprio non riescono a nascondere. Non sarà facile, sarà un'Odissea. Sì, perché la città dove è ambientata questa storia è Roma, patria delle pressioni, degli isterismi e delle contraddizioni. È più facile che cambi lui piuttosto che la mentalità di una città ultramillenaria. Ma come può riuscire nell'ardua impresa? Deve giocare, con continuità. Deve sbagliare, tanto, tutto. Per una, due, dieci partite. Deve digerire fischi e insulti fino a tramutarli in applausi e ovazioni. Prenda esempio da Candreva, che s'è messo i tappi nelle orecchie ed è arrivato a indossare persino la fascia da capitano. Un passo alla volta.

BIDONE A CHI? - In tanti, troppi, lo hanno già bollato come bidone. Ma quante prove abbiamo a disposizione per definirlo tale? Poche, pochissime. Dal suo approdo a Roma Felipe Anderson ha collezionato 31 presenze (per un totale di 1373'), 3 assist e 1 gol (contro il Legia Varsavia in Europa League). Sedici, poi, sono le volte in cui è partito nel blocco dei titolari, solo 3 i match in cui è rimasto in campo per 90' (Parma e Napoli in Coppa Italia lo scorso anno, Genoa in campionato nella stagione in corso). Tre sono le partite consecutive giocate dal primo minuto, che corrispondono alle sue prime presenze in maglia biancoceleste. In panchina c'era ancora Vladimir Petkovic, che fece debuttare il classe '93 nell'inferno di Trabzon (finì 3 a 3 col Trabzonspor), per poi riproporlo in campionato contro Fiorentina (0 a 0) e Atalanta (2 a 1 per i bergamaschi). È sotto la gestione Pioli, invece, che l'Under 21 verdeoro ha totalizzato il maggior numero di minuti consecutivi: 135, grazie ai 90 accumulati contro il Genoa e al primo tempo di Lazio-Udinese del 25 settembre scorso.

GERARCHIE - “Le gerarchie sono momentanee”. Lo ripete ossessivamente Stefano Pioli. E in questo momento Felipe Anderson guarda dal basso Candreva, Mauri, Keita, Ederson e Lulic (quando viene schierato come esterno alto). Questione di forma, di garanzie e di affidabilità. Va dato atto al tecnico emiliano di aver provato a rilanciare il 21enne di Brasilia, ma senza troppa convinzione. Il numero 7 biancoceleste gioca sempre con la paura di sbagliare, col terrore di essere richiamato in panchina da un momento all'altro. E invece avrebbe bisogno di fiducia incondizionata, di bonus illimitati. “Ma la Lazio non lo può aspettare”, la replica che va per la maggiore. E allora perché non è stato mandato in prestito a inizio stagione quando si aveva la consapevolezza che avrebbe trovato spazio con il contagocce? Può una società come la Lazio permettersi di tenere in panchina un giocatore pagato quasi 9 milioni? No, non può. Quell'attimo fuggente pretende altre chance e dice che su di lui si può lavorare. E se servisse un'esperienza altrove per farlo maturare, ben venga. L'investimento fatto è troppo oneroso per permettere che Felipe finisca nel vasto e buio catalogo delle eterne promesse.

SEGUICI SUI NOSTRI ACCOUNT UFFICIALI FACEBOOK E TWITTER!