La storia si ripete, giocatori senz'anima e tecnico in confusione: figli della presunzione di chi gestisce

Pubblicato il 22/11 alle ore 20:20
23.11.2015 07:16 di Marco Valerio Bava Twitter:    vedi letture
Fonte: MarcoValerio Bava-Lalaziosiamonoi.it
La storia si ripete, giocatori senz'anima e tecnico in confusione: figli della presunzione di chi gestisce
TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Federico Gaetano

L'Olimpico deserto, vuoto, abbandonato dalla gente intimorita dagli attentati di Parigi e dal clima di terrore che si respira in tutta Europa, ma soprattutto dalla Curva Nord che -ormai- ha preso posizione definitiva nei confronti della decisione del Prefetto Gabrielli di dividere il settore più caldo del tifo laziale, di riempirlo di decine e decine di agenti. Il clima spento, lo stadio spazzato dal vento freddo di novembre e una squadra anonima, indegna della maglia indossata. Non sarà una domenica indimenticabile. O forse sì. Sarà una di quelle domeniche che rimarranno nella memoria del tifoso laziale come una delle più brutte vissute allo stadio. E' colpa di Pioli, è colpa dei giocatori o è colpa della società. E' colpa di tutti. Ognuno ha la propria parte di responsabilità. Nessuno deve sentirsi al riparo dalle critiche, non ci sono alibi che tengano. La Lazio non è più una squadra, è una polveriera. Le parole di Candreva, rilasciate a SkySport nel post partita, sono un'accusa nemmeno troppo velata al tecnico, segno che lo spogliatoio è in fermento, spaccato in vari pezzi. La questione "fascia di capitano" non è andata giù a Candreva. Inutile negarlo. Il rapporto tra l'87 e il tecnico si è interrotto lì, mai più recuperato. Le prestazioni, ma soprattutto l'atteggiamento messo in campo dall'ex Cesena in questo avvio di stagione sono lo specchio fedele, il manifesto di un disagio esploso in estate e confermato dalle parole di oggi. Candreva, però, da ragazzo intelligente qual è, da capitano quale sperava di essere, dovrebbe provvedere a trovare uno specchio, guardare attraverso di esso e chiedersi se lui, come i suoi compagni, sta dando tutto quello che è nelle sue possibilità. E Candreva, così come i suoi compagni, sa bene che la risposta di questo ipotetico confronto con se stesso sarebbe no. Questo non è Candreva, questo non è Biglia, questo non è Anderson, questo non è Parolo e così via. Nessuno sta dando quanto potrebbe dare. Mancano le motivazioni: "Forse sì o forse no", dice il nazionale azzurro facendo capire che sì, mancano gli stimoli. Perché? Perché la società, come da undici anni a questa parte, ha mancato l'appuntamento con il salto di qualità, portando avanti un mercato figlio dell'utopia secondo cui giovani talenti potessero condurre una squadra con evidenti limiti a scalare la cima più impervia immaginabile. Quella della playoff Champions. Si è agito spinti dalla "prospettiva", neanche Tare fosse Piero della Francesca e i poveri Kishna, Hoedt e Milinkovic ragazzi di bottega in grado di apprendere in fretta, abbastanza in fretta per poter sfidare giganti del calibro del Manchester United (perché non va dimenticato il Bayer era uno degli avversari abbordabili proposti dall'urna di Nyon). Un'idea folle, quella portata avanti dalla società, che ha avuto vita breve. Per l'esattezza è campata per otto giorni. Il tempo intercorso tra il gol di Keita all'Olimpico e i tre segnati da Chalanoglu, Mehmedi e Bellarabi alla BayArena. La Lazio bella, sfrontata e a tratti irriverente ammirata lo scorso anno è morta lì. Perché i giocatori sono signorine viziate, ma pure ragazzi come noi e sanno che se per un anno dipingi da buon apprendista una tela degna del tuo maestro e questi al momento di apporre la firma,  invece, ci tira sopra un secchio di vernice, allora le motivazioni vengono meno e il malessere nei confronti di questo diventa evidente. Pioli sta perdendo l'ardua sfida di mantenere l'ordine, di tenere sulla retta via i suoi giocatori, di regalare loro nuovi stimoli, l'intenzione un po' pazza di ripetere quanto fatto lo scorso anno. Ora, il povero Stefano da Parma, è finito nell'occhio del ciclone, tecnico confuso da cacciare al più presto. Come fu Petkovic. Petko passò da eroe a incapace traditore nel giro di sei mesi. Dal derby storico del 26 maggio, alla disfatta di Verona, apice di un girone d'andata fallimentare. La storia si ripete, ma la ignoriamo e non certo la stiamo a sentire come fosse la nostra principale maestra di vita. Pioli come Petkovic, forse, verrà sollevato dall'incarico e arriverà un altro allenatore che guiderà la Lazio a una salvezza tranquilla e poi nella prossima stagione farà parlare di sé come la rivelazione dell'anno. Fino a che, anche lui, diventerà un cretino da mandare a casa, per colpa di dirigenti troppo pieni di sé per ammettere di aver sbagliato e un gruppo di uomini che, poi, tanto uomini non sono. Forse è così che andrà. Perché cacciare 25 giocatori è impossibile e cambiare presidente lo è ancor di più. Ma forse sarebbe quest'ultima l'unica soluzione ai mali della Lazio.