La nuova vita di Marcelo Salas tra calcio, business e... mirtilli!

18.09.2014 16:35 di Lalaziosiamonoi Redazione   vedi letture
Fonte: Andrea Centogambe/Claudio Cianci/Saverio Cucina - Lalaziosiamonoi.it
La nuova vita di Marcelo Salas tra calcio, business e... mirtilli!

A capo di una società di produzione d'eventi; proprietario di alcuni impianti sportivi e di un'azienda agricola che esporta mirtilli negli Stati Uniti, in Europa e in Asia; presidente della squadra di calcio cilena del Deportes Temuco; capocannoniere della Nazionale cilena. Di chi si tratta? L'ultimo dei quattro indizi avrà dato la risposta ai più attenti. Se poi aggiungiamo che il suo soprannome da calciatore era “El Matador”, il rebus è risolto. José Marcelo Salas Melinao, o più semplicemente Marcelo Salas, occupa un posto in prima fila nei cuori dei tifosi biancocelesti. Il ricordo dei suoi inchini rivolti alla Nord difficilmente si dissolverà nel tempo. Così come quel sinistro che trafisse il portiere degli "Invincibili" Red Devils, Raimond Van der Gouw. Alla soglia dei 40 anni, l'ex attaccante capitolino si racconta ai microfoni del portale capital.cl. Il suo racconto parte dalle radici, dall'Universidad de Chile, il club che l'ha lanciato nel calcio dei grandi. “Un giorno l'Universidad de Chile viene a fare un quadrangolare a Temuco (la sua città natale, ndr). All'epoca io giocavo per il Santos Temuco e scopro che c'erano delle selezioni per entrare nell'Universidad de Chile. Mio padre e mia madre avevano un po' di paura, c'era un migliaio di giocatori tra cui scegliere. Ma io volevo a tutti i costi fare un provino. Riesco a ottenerlo di martedì, il sabato successivo esordisco con due gol”, dichiara orgogliosamente.

Marcelo, sei una leggenda di River Plate e Lazio, in Italia hai giocato anche con la Juventus, ma adesso ti occupi di qualcosa che non ha a che fare con il calcio...

"Sono felice della mia vita, bisogna sapersela godere”.

E dove è finita la passione per il calcio? È scomparsa?

“La passione per il calcio ce l'ho ancora grazie al Deportes Temuco. Mi piace sempre vivere l'atmosfera dello spogliatoio, gioire per una vittoria, stare in compagnia. E ogni martedì gioco a calcio con un piccolo gruppo di amici. È gente che non fa parte del calcio, ma ci sono anche ex giocatori come Marcelo Peña. A volte è capitato di giocare con Felipe Seymour (attualmente milita nel Genoa, ndr) e Matias Rubio, poco prima che firmasse per il Temuco. A pranzo sto sempre a casa mia, vado a prendere le mie figlie a scuola. E poi dedico tanto tempo al lavoro, mi occupo di commerci. Sono spesso impegnato in riunioni, nella ricerca di contatti e così via”.

Sei bravo a stringere accordi e a concludere affari?

“È il mio ruolo. Sono il presidente del Deportes Temuco, poi con la mia famiglia abbiamo un'azienda agricola che produce mirtilli. Ce l'abbiamo da 5 o 6 anni, la stagione buona per noi va da dicembre a marzo. Esportiamo in Asia, Stati Uniti ed Europa. Siamo tra i più grandi esportatori, stiamo producendo 500mila, 600 mila chili di mirtilli. Ho tantissimi incontri con gli esportatori, gli acquirenti. E, in generale, ogni giorno devo monitorare qualcosa. Come gli impianti sportivi, nei quali organizzo spesso tornei giovanili”.

Hai imparato a tenere la testa impegnata in più campi...

“(Ride, ndr) Ero per metà preparato. La verità è che mi piace parlare con la gente e conoscere le idee degli altri. Certo, a volte sono forse troppo pieno di impegni, ma se voglio mi programmo una settimana di relax, in cui non faccio nulla. Il bello di questo lavoro è che gestisco la mia giornata”.

Per questo lavoro, come nel calcio, hai bisogno di una squadra.

“Certo, io lavoro con il mio avvocato, Raul Jelvez, da oltre 15 anni. Fa parte del Deportes Temuco ed è anche il direttore generale dell'azienda agricola. È colui che mi aiuta a tenere tutto in ordine. Poi qui in ufficio ci sono cinque personale fisse, commercialisti e assistenti, che fanno tutto il resto”.

Avete intenzione di ampliare il vostro mercato?

“Sì. Ora, per esempio, un paio di scuole mi hanno chiesto di procurargli delle uniformi per le varie attività sportive”.

Quando avevi 20 anni pensavi già a tutto questo?

“Credo che il destino di ognuno di noi sia segnato e che le persone che incontri nella vita ti influenzano parecchio. Io ho sempre voluto imparare, migliorare. Quando sono tornato dall'Argentina, l'ultima volta, ho studiato Sport Management e Marketing. I miei compagni mi guardavano incuriositi e mi chiedevano cosa stesse succedendo. Inoltre, mi piace che le mie figlie possano dure che hanno un padre che lavora, che è un imprenditore di successo, è andato al college, ha studiato, parla più lingue ed è sempre in viaggio”.

Quanto ti ha aiutato giocare in diversi club e avere così l'opportunità di conoscere compagni che facevano investimenti fuori dal calcio?

"Molto, io sono una persona molto attenta. E ho capito che non si può mai sapere tutto. Ci sono molte persone, invece, che credono di sapere tutto. Io ascolto sempre tutti".

E quando hai scoperto che ti piaceva il mondo del business?

"Sono sempre stato molto cauto. Quando giocavo ho sempre cercato di salvaguardare i miei soldi. L'unico investimento che ho fatto è stato comprare un campo dopo la Coppa del Mondo. In quel caso ascoltai mio padre. Si tratta di un campo che sta a Freire, dalle parti di Villarrica, lo comprai 15 anni fa: abbiamo realizzato una plusvalenza del 1000%. Ma quando giocavo non me ne occupavo personalmente. Ho lasciato che si occupassero di due ettari due giudici di Viña. Poi ho cominciato a vedere cosa ci potevamo fare; ora abbiamo un campo di mirtilli".

Sei tu che vai sempre a negoziare?

"Sì, certo. Mia sorella è responsabile di tutto il resto. Vive lì e lavora giorno per giorno con un agronomo e con i dipendenti. Ma le decisioni sulle offerte passano a me. E’ pur sempre la mia attività".

 Quanto influisce il tuo nome quando ti presenti in una riunione?

"Influisce, soprattutto in ambito calcistico. Per quel che riguarda l'azienda di mirtilli un po’ meno. Si tratta di un'impresa di maggiore dimensione e la cosa che conta sono le percentuali: uno zero in più o in meno cambia totalmente la produzione. Inizialmente può influenzare la mia immagine, mi vedono e fanno ‘Ah, Marcelo Salas’. Ma dura poco. Quando si entra nel commercio, conta solo la calcolatrice (ride, ndr). Per quanto riguarda i mirtilli, sono sicuro di aver fatto un prodotto di qualità. Ora stiamo lavorando direttamente con gli Stati Uniti e con l'Europa".

Dopo che è saltato il tuo trasferimento al Boca Juniors, nel ’97, invece di arrenderti, hai deciso di andare al River Plate.

"E’ andata così: quando il Boca mi disse che mi voleva in prestito, ho detto loro no. Non sapevano se acquistarmi o meno, per il fatto che un cileno non aveva mai trionfato in Argentina. Poi, subito dopo, arrivò il River".

Sei stato una scommessa, all’inizio sei stato in panchina...

"Quella squadra era incredibile, e la panchina era incredibile. Ero seduto con Solari, Aymar, Gallardo, Escudero. Tutti questi giocatori furono selezionati per giocare con la Nazionale del proprio paese. Nelle prime partite ero in ritardo di condizione e ho dovuto aspettare. E' stata una scommessa, mi piace giocare d'azzardo. Ricordo che non tutti i membri della mia famiglia mi dissero di andare. Non perché non credessero in me, temevano che in Argentina avrei fatto panchina. Tutti i miei parenti erano preoccupati: genitori, amici, zii, cugini. A quel tempo ero sposato e mio padre mi disse di non accettare".

Però avevi sempre avuto questa idea…

"Non sempre. Ma se prendo una scelta, vado avanti fino alla fine. Ovviamente non ho intenzione di buttarmi giù da una rupe, ma se vuoi ottenere qualcosa, devi trovare il modo per farlo. Perché il calcio non è milionario come tutti pensano, o meglio, non è sempre così. Ci sono dei giocatori che militano nella prima e nella Seconda Divisione che guadagnano. Ma ce ne sono altri che non guadagnano, ve lo posso assicurare. Ci sono enormi differenze tra i grandi club e piccoli club anche a livello di diritti televisivi".

Un club per i bambini
Alle spalle di Marcelo c’è una lavagna con diversi nomi, tutti legati al Deportes Temuco, squadra che gestisce da un anno dopo la fusione avvenuta tra Union Temuco, che ha fondato nel 2006 e il club storico dove ha giocato da bambino.

Dopo un anno alla presidenza, qual è il modello gestionale per il Deportes Temuco?

“Per noi c'è un altro problema al primo posto, ossia la questione sociale. Abbiamo oltre 400 bambini ai quali diamo tutto, uniformi, viaggi pagati, pensione completa, la possibilità di studiare e che magari molti non sanno, soprattutto a Temuco. È una questione molto importante per me. Ho vissuto in questo club in tempi molto precari. Anche oggi, quando vado a Temuco, incontro i compagni che avevo quando ero un ragazzino, ricordando sempre che adesso possiamo garantire un pallone per la formazione, un campo da tennis e una doccia. Per questo, quando sono tornato in Cile a carriera finita, il mio scopo era quello  di regalare ai bambini ciò che noi non abbiamo avuto. Oggi ci preoccupiamo di tutti questi dettagli, della colazione, dei cereali, della festa di fine anno”.

Che impatto hai trovato nella zona da quando sei alla guida?

“La gente non avverte molto questa necessità. Ci sono aziende, come il Rosen, che ci sostengono da quando siamo partiti. E, naturalmente, ci aspettiamo che possano aderire altre società della regione una volta capito il problema”.

Non lo vedono come  interessante?

“Ciò che vogliono è sapere se la squadra vince o perde. Capisco, ma la nostra idea di club è molto più grande del semplice gioco. Al momento della fusione tra Union e Deportes Temuco, un anno fa, abbiamo iniziato a organizzare la questione dei cadetti. Abbiamo sei serie, con il medico e un assistente sociale. A quest'ultimo è stato affidato il compito di affrontare le questioni dei pagamenti che aveva il club. Ci preoccupiamo dei bambini affinché non lascino il club, come è successo a me da bambino. E in prima squadra recentemente ho organizzato un piano con 22 giocatori richiesti dal tecnico di quest'anno. Se si legge la lista ci sono 10 giocatori della zona. Questa è la nostra idea di club”.

Un progetto idealista…

“Per ora, tutto dipende dal risultato della Domenica. Ma credo che la gente comincerà a capire. Passo dopo passo, penso che fin qui abbiamo dato il cento per cento, considerando che ci mancano le risorse. Ma ora dobbiamo rafforzarci. Quando sono arrivato in questo club era un progetto a lungo termine, con lo scopo di lavorare con i bambini. La mia intenzione è di non fare troppi affari con il Deportes Temuco. Penso che sarò sempre legato al club. Da bambino andavo allo stadio a vederlo con mio nonno e mio padre”.

Cosa ne pensi della gestione Sampaoli, giudicandolo da leader del club?

“Ha fatto bene. Ha anche avuto a che fare con un gruppo di giocatori di alto livello. Ha sfruttato il precedente lavoro di Bielsa, seguendo un progetto che era anche suo. Ha ammesso del resto di essere un suo seguace, inserendo alcune sue sfumature. Lui è un passionale e come tutte le cose della vita ci mette passione. Io preferisco un tecnico lavoratore, preoccupato ed esigente. Devi avere dedizione soprattutto nel calcio. Mi domandano sempre se voglio fare il tecnico, io rispondo di no. Volevo essere più libero. Il tecnico deve essere sul pezzo h24, io non ho più la possibilità, o forse non mi interessa. Ho il fine settimana libero per stare con i miei figli e i miei amici. Il giocatore si allena due ore al pomeriggio, così come il giorno successivo. L'allenatore ha 22 giocatori da controllare, ognuno con personalità diverse".

Degli allenatori che hai avuto, c'è qualcuno che vuoi ricordare in particolar modo?

“Ho avuto grandi allenatori e ho imparato molto da tutti. Ma se mi chiedete per un aneddoto speciale, ricordo il gesto di Arturo Salah, alla fine della mia carriera. Avevo lasciato il River perché il presidente non mi rinnovò il contratto. Sono tornato in Cile e stavo in attesa fino a quando Arthur mi ha chiamato per dirmi che la mia carriera non poteva finire così. Ci allenammo insieme per un po' e poi lui divenne tecnico dell’Universidad de Chile. A quel punto mi chiamò nella sua squadra e passai un anno e mezzo molto positivo, tanto da ottenere la convocazione nella nazionale allenata da Bielsa, terminando la carriera con i due gol nel centenario contro l’Uruguay”.

Tornando alle questioni sociali, che ne pensi del problema Mapuche (abitanti Amerindi originari del Cile Centrale e Meridionale, ndr)?

“Sono sempre stato molto sensibile a questo argomento, ma non ho tutte le informazioni necessarie per esprimere un parere adeguato. Spero solo che ci sia la giusta armonia, ma è una questione che riguarda le autorità competenti. A Temuco non si avverte molto, eccetto per qualche protesta. Ad Ercilla e ad Angol sì. Credo sia arrivato il momento di trovare una soluzione”.