Varsavia un anno dopo: restano la rabbia e i quesiti irrisolti. Il ricordo di Laëtitia: "Una ferita che lotta per richiudersi"

Pubblicato il 28 novembre alle ore 10
28.11.2014 12:40 di Andrea Centogambe Twitter:    vedi letture
Fonte: Andrea Centogambe - Lalaziosiamonoi.it
Varsavia un anno dopo: restano la rabbia e i quesiti irrisolti. Il ricordo di Laëtitia: "Una ferita che lotta per richiudersi"

Paura, rabbia, incredulità, quesiti rimasti irrisolti. Un anno dopo resta questo e molto altro dell'incubo vissuto dai tifosi laziali in quel di Varsavia. Doveva essere una trasferta come tante, una serata europea al fianco della Lazio, di quelle che ti inorgoglisce e ti fa gonfiare il petto. Partirono da Roma in più di 800, ma molti di loro quella partita non l'hanno mai vista, alla Pepsi Arena (casa del Legia) non sono mai arrivati. Si erano dati appuntamento all'Hard Rock Cafè, per poi raggiungere compatti la meta, ma una folle quanto inspiegabile retata della polizia polacca portò al fermo di 149 persone. Fu una vera e propria prova di forza, quella degli uomini in divisa, per rispondere alle accuse ricevute pochi giorni prima di quella maledetta sera. L'11 novembre del 2013 (la Festa dell'Indipendeza polacca), infatti, un gruppo di esagitati aveva messo a ferro e fuoco il centro della Capitale, in quell'occasione la polizia venne accusata di essersi fatta trovare impreparata. Ed ecco spiegato quel rastrellamento spropositato, che ancora oggi è in cerca di una ragione. Sì, perché l'unica prova dei disordini (?) messi in atto dai supporters biancocelesti, risiede in un video (senza data né ora) in cui si vedono oggetti volare verso quattro agenti, senza nessuna inquadratura degli esecutori del gesto. Poi i processi farsa, il silenzio delle istituzioni italiane, le provocazioni della stampa polacca (“Polizia 120-tifosi Lazio 0" titolava un quotidiano all'indomani della partita con il Legia), il freddo di Bialoleka. Matteo e Daniele, gli ultimi detenuti ad abbandonare il carcere, torneranno in Italia solamente 61 giorni dopo (il 29 gennaio), dietro pagamento di ingenti somme di denaro e con in tasca 3 anni di Daspo europeo. A distanza di un anno la parola fine non trova ancora spazio: c'è chi è ancora in attesa della Cassazione e chi ha ricevuto lettere di convocazione davanti all'Autorità giudiziaria. Il caso Varsavia farà parlar di sé ancora per molto, è una ferita ancora aperta che non vuole rimarginarsi.

Di seguito vi proponiamo una lettera scritta da Laëtitia, sorella di Nicolas, ragazzo francese di 26 anni che nel carcere di Bialoleka ha trascorso 19 giorni.

“È passato già un anno da quando 149 persone sono state arrestate - tra cui mio fratello – a Varsavia in occasione di una partita di calcio. Oggi voglio condividere con voi i miei sentimenti, perché ne ho bisogno, perché anche se non sono stata in carcere questa esperienza ha rovinato la mia vita: c'è una prima e un dopo Varsavia. Per molte famiglie è stato l'inizio di un incubo, fatto di incertezze e di paure. Il nostro incubo è durato 19 giorni. Sono stati giorni interminabili, notti passate accanto al telefono in attesa di notizie dall'avvocato e dall'Ambasciata francese e italiana. A Varsavia sono andata due volte con mia madre, ricordo le lunghe ore di attesa in un freddo glaciale all'ingresso della prigione, trattati in malo modo, per visitare mio fratello. Ricordo le interminabili riunioni dall'avvocato, i “colpi di scena”, le brutte notizie … Ma di quei giorni ricordo anche la solidarietà tra i ragazzi rimasti a Varsavia per sostenere gli amici ancora in carcere, le famiglie che si aiutavano tra di loro e cercavano conforto nonostante le notizie negative, nonostante in prigione avessero ancora un figlio, un fratello, un fidanzato, un amico. Questa storia fa parte del passato ormai, ma il dolore è ancora tanto, non c'è un giorno in cui non ci pensi, soprattutto quando sono a lavoro. È impossibile per me non pensare al "rovescio della medaglia" (Laëtitia è un agente di polizia in Francia, ndr). E alcuni tra i miei colleghi fanno ancora oggi delle allusioni, mi dicono che sono quella "che odia i polacchi perché mio fratello è stato in carcere" . È passato già un anno, ma questa storia è una ferita aperta che lotta per richiudersi”.