FOCUS - Dura lex, da Hernanes a Candreva: quando lasciare la Lazio non è garanzia di successo

16.07.2017 13:50 di Francesco Tringali   vedi letture
Fonte: Francesco Tringali - Lalaziosiamonoi.it
FOCUS - Dura lex, da Hernanes a Candreva: quando lasciare la Lazio non è garanzia di successo

"Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quel che lascia, ma non sa quel che trova". Non si vive di frasi fatte o di aforismi sparsi qua e là. Lo sappiamo bene. Ma questo buon vecchio adagio sembra calzare a pennello con un fenomeno ormai virale, quasi tradizionale. Si adatta velocemente alle sorti di quei giocatori laziali, abili e ambiziosi, che al terzo/quarto anno di vita a Formello si accorgono che lì fuori c'è un mondo nuovo: piazze roventi, che ti promettono il tetto calcistico in breve tempo. Quelli del "qui si può vincere" perchè "il progetto è ambizioso", lasciando di fatto una scia di delusione e rabbia negli ormai ex tifosi. Ma varcato il terminal, non è un più problema loro, si pensa al futuro con entusiasmo, scurdammoce 'o passat. Una volta li chiamavano dissidenti, un'altra li si è lasciati partire con le lacrime agli occhi, un'altra ancora salutati perché profondamente delusi da investiture dubbie. Le scelte giuste? Poche. Il successo? Scarso, se non minimo. Negli annali si ricordano più meteore: partiti dalla Lazio come "semplice" trampolino di lancio e finiti per schiantarsi contro quel muro fatto di intuizioni sbagliate. Che il passaggio di Lucas Biglia al Milan arricchisca la saga del successo promesso ma incompiuto?

IN PRINCIPIO FU CESAR, POI I "TRE DISSIDENTI" -  Tanto rumore, il disdegno dei tifosi, feriti e a tratti umiliati dal più classico dei tradimenti. L'epopea dei divorzi in casa Lotito si apre con Cesar Aparecido: diventato capitano e punto fermo della nuova Lazio targata Delio Rossi. Il brasiliano decide di virare verso altri lidi (in primis l'Inter, poi via via sempre più giù), attraenti e vincenti solo all'apparenza. E come dimenticare i tre famosissimi nomi dell'estate 2009: Ledesma-Pandev e De Silvestri, non riuscivi a pronunciarli separatamente, erano diventati una cosa sola. I tre "dissidenti" per antonomasia. Tre storie diverse, tre risultati opposti. Con l'italo-argentino che sarebbe diventato di lì a poco il capitano della Lazio (dopo l'imposizione di Edy Reja per il suo reintegro in squadra) e il macedone protagonista di un Triplete con l'Inter. Pandev, infatti, fu uno dei pochi (insieme a Lichtsteiner e Kolarov) a uscire indenne dalle forche caudini delle scelte (azzardate) di mercato. De Silvestri, tra infortuni sparsi e poca fortuna, rifiutando il rinnovo di contratto di quella che definiva la "sua" Lazio, finì per ritrovarsi in un universo parallelo fatto di incertezze e club tutt'altro che di primissimo livello. Peggio è andata a Modibo Diakitè, deciso a rompere con la Lazio nel 2013 e nel suo momento migliore della carriera. E così che da lì in poi - per quattro stagioni a oggi - non è mai riuscito a superare le 20 presenze a campionato.

MILANO MALEDETTA - Alla fine tutti, se non la maggior parte dei tifosi, si sono ricreduti su due delle cessioni più importanti degli ultimi anni. Figli del senno di poi e dei milioni intascati: tanti, vedendo quel che è stato il rapporto rendimento/età del calciatore. L'Hernanes che "sceglie l'Inter per vincere", viene risucchiato da una squadra in transizione, vittima di un profondo cambiamento che lo porterà nella classica lista "bidoni" della breve era Thohir, prima di un ruolo da comprimario alla Juventus. 20 milioni alla Lazio, poche gioie per il Profeta. Le stesse maturate nella prima annata da Antonio Candreva. Sceglie il nerazzurro e la nuova creatura di Inzaghi riparte forte, più forte della sua Inter (sempre quella scelta per vincere). Tutto frutto dell'investitura di Pioli un anno prima, con quella scelta di consegnare la fascia da capitano a Biglia a discapito del numero 87. Strategia di mercato, stavolta fallimentare per la Lazio. Perchè il capitolo dell'argentino al Milan è tutto da scrivere. Lucas svuota l'armadietto, poggia la fascia sul tavolo, si mette alle spalle ciò che è stato. Anche se è l'unica cosa concreta, del futuro non v'è certezza.