Dal dramma dell'Heysel a Juventus-Lazio... Il calcio non è morto

22.01.2017 09:00 di Alessandro Zappulla   vedi letture
Dal dramma dell'Heysel a Juventus-Lazio... Il calcio non è morto

Treno Roma-Torino, Juventus-Lazio all'orizzonte e quel lavoro fuso al sentimento che spedisce come di consueto in "prima linea". Appunti di viaggio da cui parte il racconto di quel che sarà la mission biancoceleste in terra bianconera. Passione per il calcio che non tramonta mai, ma che soffre terribilmente i freddi dati domenicali di un tifo in calo. L'afflato che ha spinto 1000 anime a Torino per sostenere la Lazio a far da contraltare e una compagnia inattesa come scorta sino alla Mole. Si tratta di Carlo Ricci un rispettabile medico romano di 74 anni, in attesa di raggiungere la sua Juve. Carlo è un tifoso della prima ora che non nasconde il suo scudetto bianconero cucito sulla felpa. Sorride quando capisce che la meta di questo viaggio condurrà al medesimo traguardo: sponda opposta. "Sono juventino da sempre - esordisce - Amo la Vecchia Signora e non sopporto la Roma e il Napoli (ride)". La compagnia di Carlo è di quelle che gradisci sin dal primo istante. Mai eccessiva, spesso taciturna a volte malinconica. "Viaggio spesso per Torino. Vado per assistere a tutte le partite in casa della Juventus e torno quasi sempre arrabbiato". La chiosa sa di nota stonata. Apparentemente figlia di un palato eccessivamente fine, quasi classista. Ma subito il compagno di viaggio juventino si riprende: "Ne ho viste talmente tante di Juventus che a questo punto cerco il gusto di una bella partita. Mi diverto se si gioca bene al calcio, anche se ultimamente questa squadra non mi diverte più...". Tira fuori un tablet e scorre alcune foto d'epoca. "Sono tifoso da sempre e discuto spesso con mia moglie. Le da noia restare sola. Ma io a casa davanti alla tv non riesco proprio a divertirmi. Ho bisogno dello stadio". Il display mette in coda le foto di una vita, archiviate gelosamente come si fa con un amore che si rispetti. Carlo sorride soddisfatto, nel raccontare i suoi aneddoti bianconeri, mentre continua a sfogliare il suo archivio. D'un tratto  Si blocca. Il dito punta una foto sbiadita. "Questa è l'Heysel io ero in curva Z".

Si pianta per un attimo e a stento ritrova il sorriso. "Sono uno scampato. Posso tranquillamente dire un sopravvissuto". Scorre le immagini di quell'orrore e si sofferma sulle prime pagine di quel maggio del 1985. "Io sono quello in piedi fra decine di morti. Avevo mio figlio con me e in un attimo me lo sono perso". Una lacrima gli solca il viso. Le rughe di una vita ne accompagnano la discesa. "Non appena iniziò l'avanzata degli hooligans sugli spalti la sua mano mi scivolò via...". Carlo è tradito dall'emozione, ma che alla fine sfuma nella soddisfazione. "Lo ritrovai dopo un'ora e mezza. Stava rannicchiato sotto una panchina. Riuscì a scavalcare decine di cadaveri per poi mettersi in salvo". Rievocare la barbarie di quegli attimi non ne blocca il gusto per questo sport. Lui è un ultras vero, di quelli che vanno oltre. Di quelli che sanno di cosa è fatta la paura e non temono di raccontarne i confini. "Una rete ci divideva dalle bestie. Noi non eravamo tifosi organizzati. Nel settore Z c'erano soltanto famiglie, donne e bambini. All'ingresso gli hooligans sfondarono la fragile rete divisoria e quando la polizia fuggì fu il disastro. Centinaia di persone rimasero pressate sui divisori. Sui muretti...". Mentre l'inatteso compagno di viaggio juventino sfoglia l'album si blocca su di una foto. "Quei i cadaveri li ricordo ancora sotto le mie mani. Il muretto era crollato e parecchi tifosi morirono. Io ero disperato. Sono scampato al massacro ma non trovavo mio figlio. Prima di riabbracciarlo sono rientrato tre volte in curva e per tre volte ho alzato la testa di un ragazzo morto. Era tale e quale a mio figlio da dietro...". Carlo piange il dolore che da dentro non si è mai placato. Il terrore che solo un padre nella disperata ricerca di un figlio può provare. Carlo Ricci oggi ha ancora voglia di tifare. Carlo Ricci è la risposta del bene che vince sul male. L'amore per la vita si misura anche nel saperne apprezzare colori e sfumature e seguire la propria squadra anche a 600 km di distanza ne è una prova. Il calcio come sport da amare. Il calcio come passione che non può soffocare. Nemmeno in tanto dolore, neanche in un simile orrore. Sorride Carlo Ricci. Tifa Juve e non dimenticherà mai nomi e volti delle 39 vittime dell'Heysel, ma oggi vuole solo gioire per il gioco più bello del mondo. "Spero di rivedervi domani e spero di essermi divertito...". Il calcio non può morire. Il tifo nemmeno, finché esisterano persone come Carlo.