L'importanza di chiamarsi Stefano Mauri

13.02.2016 08:05 di  Antoniomaria Pietoso  Twitter:    vedi letture
Fonte: Giulio Cardone/Marco Ercole - La Repubblica
L'importanza di chiamarsi Stefano Mauri
TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Federico Gaetano

Ci voleva Mauri per tornare a segnare. «Con lui gli attaccanti giocano meglio», aveva detto un certo Klose (non proprio l’ultimo arrivato) in tempi non sospetti, quando l’ex capitano era ancora relegato in panchina. Un lungo periodo di inattività che contro il Verona si è sentito: Mauri non è ancora al top della condizione (lo testimoniano i 39 tocchi di palla in 72 minuti, appena il 6,5% del totale), ma nonostante questo è riuscito a essere determinante e a dare equilibrio nei collegamenti tra centrocampo e attacco. Sullo 0-0 ha servito un assist al bacio non sfruttato da Matri, poi ha realizzato il gol del 2-0: il tutto con la solita intelligenza tattica al servizio della squadra. È infatti merito suo (e del rientro del metronomo Biglia) se Pioli ha modificato l'atteggiamento della Lazio e scelto di non ostinarsi a giocare esclusivamente sulle fasce, con tanti cross e nessuno in area capace di sfruttarli: delle 40 azioni d’attacco effettuate contro il Verona, 26 sono arrivate per vie centrali e sempre da quella zona sono partiti il 78% dei 18 tiri (di cui 7 nello specchio) complessivi. I risultati di questo cambiamento sono stati i 5 gol realizzati (un inedito della gestione Pioli), ma anche delle disattenzioni in difesa che non si vedevano da qualche partita. Una sorta di sindrome da coperta corta: se va bene la retroguardia, la Lazio fatica a tirare in porta; se gli attaccanti segnano, i difensori si concedono qualche amnesia di troppo. Il compito di Pioli ora è cercare un equilibrio. E chi meglio di Mauri per trovarlo: non a caso, a Istanbul contro il Galatasaray, una maglia da titolare nel tridente dovrebbe essere sua.