GARBAGE TIME - Il talento di Mea Vitali: nei peggiori bar di Caracas

Il calcio di punizione diretto è una modalità di ripresa del gioco che permette di segnare direttamente una rete conto la squadra avversaria. Il variegato romanzo pallonaro ricorda specialisti illustri, da Diego Armando Maradona a Michel Platini, passando per le conclusioni “a foglia morta” di Mario Corso e le “maledette” di Andrea Pirlo. E che dire delle conclusioni con le tre dita di Roberto Carlos o i missili terra-aria di Sinisa Mihajlovic. Calciatori di punizioni e fenomeni del giuoco non sono vincolati da un’equazione matematica. Massimilian Porcello è stato autore di traiettorie degne di studi leonardiani, ma la sua ascesa si è stoppata nel modesto Karlsruhe; Shunsuke Nakamura esultava ancor prima di calciare, il Celtic lo strappò alla Reggina solo per questo motivo. Un mio amico a calciotto centra lo specchio da ogni posizione, gioca in terza categoria.
31 AGOSTO 2004 – "E venne il giorno in cui comparve il patron Lotito, fu più astuto e cattivo di ogni Cragnotti, barattò il suo oro con uno specchietto, una collana, Lequi, El Tate Gonzalez e Bryan Robet e corruppe con i nove campioni i figli dei fratelli tuoi e cacciò in tribuna Talamonti.
Allora tuonò il tam-tam per i giornali e gli uomini seppero che salpava una nave biancoceleste per lidi lontani là dove il cotone è un dio, e Mea Vitali è imperatore”.
Parafrasando un celebre passo dei movimenti di rivendicazione di indipendenza degli stati africani, Lotito fu, d’improvviso: “Ho preso questa squadra al suo funerale e l'ho portata in condizione di coma irreversibile. Spero presto di renderlo reversibile”. II tifosi biancocelesti si abitueranno ben presto alla fraseologia simil leopardiana dell’imprenditore romano.
Il primo mercato dell’era lotitiana fu importante per quantità, un po’ meno per qualità. Le redini erano affidate a Walter Sabatini, già in biancoceleste un decennio prima nel settore giovanile. Walter amava e ama la terra sudamericana, ma non tutti i talenti che ha portato in Italia si chiamano Javier Pastore. Anzi.
In quei funesti giorni di fine agosto, nelle ultime frenetiche ore di calciomercato, la Lazio piazzò un record importante. Erano lontani i tempi delle corse affannate dei nostri amici e colleghi Capriotti e Ponticiello, inseguendo i procuratori di Berardi e Cinelli: oggi tutta l’Italia laziale è rimasta incollata a smartphone, pc e quant’altro con lo spumante in mano, in attesa di leggere le dichiarazioni di D’Ippolito. A quei tempi Claudio Lotito portò una ventata di freschezze e come biglietto da visita, in quelle intrepide ore, regalò nove campioni ai suoi nuovi tifosi. Da quel giorni il concetto lotitiano di “campioni” ha sempre spaventato il tifoso medio laziale. Meglio mantenere lo status quo che godersi il campione nuovo, in questo c’è sincronia con il presidente. La nostra storia ha potere chiarificatore.
In quel giorno dunque arrivarono nove giocatori in un colpo solo. Tommaso Rocchi era un pesce fuor d’acqua in quel gruppo, ma paradossalmente era il meno atteso. I gemelli Filippini si rivelarono utili alla causa, poi il fatto di possedere praticamente un doppione permetteva a mister Mimmo Caso di aver sempre un Filippini in campo, tanto solo la madre poteva distinguerli. Siviglia non era un fenomeno, ma giocò con buona continuità senza troppe sbavature, diventando anche titolare per buona parte della stagione, Seric un po’ meno, ma non era in ogni caso un orrore. Per Walter questi erano i tasselli complementari, il cuore del mercato era rappresentato dai famigerati cinque sudamericani.
1)Leonardo Talamonti: in Argentina si parlava benissimo di lui, arrivò in prestito con diritto di riscatto dal Rosario Central, ma alcuni problemi burocratici legati al cartellino (il Rosario era in amministrazione controllata) ne rallentarono l’inserimento. Esordì il 27 ottobre, ricordato solo per il pareggio contro l’Inter al Meazza;
2)Esteban “El Tate” Gonzalez: gol al debutto in amichevole contro la Salernitana. Fu prelevato dal Gimnasia La Plata, club al quale il giocatore regalò 200 paia di scarpini da calcio per beneficienza. Doveva essere il vice Dabo. Lotito lo prelevò con un prestito oneroso di 270mila euro con riscatto a 700 mila. Ne nacque un caso diplomatico, il presidente scoprì che tra tasse ed extra gli costava 50mila euro in più e chiese a derelitto club di La Plata una rateizzazione. Spari sulla Croce Rossa: il transfer fu bloccato, il ragazzo scese in campo (e male) anche lui a fine ottobre, bocciato a dicembre dal nuovo mister Papadopulo;
3)Brian Robert: figlio d’arte, non giocò mai in prima squadra, timbrando il cartellino solo con la Primavera. Fu spedito in prestito a Catanzaro, un dispetto ai giallorossi è sempre gradito.
4)Matias Lequi: era un caso diverso, aveva disputato 34 partite nella stagione precedente con la maglia dell’Atletico Madrid. Anche per lui il transfer arrivò in ritardo, niente Europa e notevoli difficoltà di inserimento. Il Cerro rivendicava ancora diritti sul cartellino, alla fine saranno solo dieci le presenze in biancoceleste.
GENIO INCOMPRESO – 5) Il Venezuela è un piccolo statarello del nord dell’America meridionale. Famosa per il baseball e per quel bontempone di Hugo Chavez, paladino della democrazia. E’ un Paese che ospita una nutrita colonia italiana, circa 200mila unità. E’ in questo nugolo di persone che si materializza il nostro personaggio. “Mi chiamo Miguel Angel, sono il simbolo della mia Nazionale, mi manda Margiotta”.
Miguel Angel Mea Vitali in Venezuela era adorato alla stregua di una divinità: esordì con la maglia della rappresentativa a 18 anni, quando arrivò alla Lazio di anni ne aveva 23 e di presenze una quarantina. Era il classico volante, giocatore abile in impostazione e in interdizione, una maschera caratteristica del calcio sudamericano. Piede fatato, estro, ma anche tante tante legnate. I suoi calci piazzati venivano descritti come rigorosi trattati di balistica, armoniose melodie etniche di esotici paesi d’Oltreoceano. Per la serie: “Liverani spostate, ce penso io!”
Il curriculum non era proprio entusiasmante: una vita al Caracas, nel competitivo torneo venezuelano, brevi parentesi al Lleida, al Chacharita Juniors e al…Poggibonsi.
Lotito decise di puntare su di lui, in realtà in quel periodo intorno alla Lazio ruotavano diversi sedicenti personaggi, presunti procuratori, fantomatici esperti di calcio sudamericano, che provarono in tutti i modi ad appioppare al nuovo presidente diversi giocatori. Era un periodo di transizione, di stacco dalla precedente gestione, regnava un po’ di anarchia.
A Mimmo Caso bastarono una manciata di allenamenti per comprendere l’effettivo valore del giocatore e lo scaricò immediatamente alla Primavera di Mattioli. Abbigliamento di Mea Vitali: “Tipica tunicona venezuelana di lino con inserti in giallo e rosso, cappello Panama stile Premier, sandali di cuoio con ghirigori, occhiale specchiato e orecchino con piuma visto sul lobo di Toro Seduto”.
Il ragazzo provò a mettersi in mostra con i giovani, invano. Fu spedito a Sora, nella vecchia Serie C, ma anche lì mister Eziolino Capuano lo rilegò in panchina dopo qualche apparizione di basso profilo. Lei non sa chi sono io. Tornò in estate alla Lazio, ma il clamore era decisamente smorzato rispetto a quel famoso 31 agosto. Il webmaster del sito ufficiale si dimenticò di inserirlo nella rosa. Nessuno voleva il povero Mea Vitali. Passò talmente inosservato che Lotito si dimenticò di corrispondergli alcuni emolumenti, gli fu persino negato un trasferimento alla Viterbese.
I greci del Levadeiakos lo presero a scatola chiusa, dopo aver costatato l’impossibilità di trovare filmati sul suo conto. In effetti il Pirlo (riferimento non casuale) del Venezuela è stato filmato al suo arrivo e, al massimo, in una giornata di mare a Torvajanica da qualche compaesano, che lo ha riconosciuto nella fitta serie di ombrelloni.
Dopo l’esperienza greca ebbe la geniale idea di firmare con il Maracaibo, acerrimo nemico del Caracas. Come se Rocchi firmasse con la Roma, ma lì in Venezuela non sono tanto teneri. Oggi milita nelle fila del Deportivo Lara, club che ha ospitato per un breve periodo il leggendario Renè Higuita. E’ un po’ il Chievo Verona del Venezuela.
Il suo contratto scade nel 2013, Igli ci pensi tu?