FOCUS - Klose, dalla minoranza tedesca all'élite biancoceleste: i 40 anni di un campione

Pubblicato il 9/06/2018 alle ore 16:00
10.06.2018 07:22 di  Lalaziosiamonoi Redazione   vedi letture
Fonte: Lalaziosiamonoi.it
FOCUS - Klose, dalla minoranza tedesca all'élite biancoceleste: i 40 anni di un campione
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© foto di Federico Gaetano

A 36 anni era il primo marcatore della nazionale tedesca. Oggi taglia il traguardo dei 40 portando con sé la fama di chi in Germania – e non solo – è osannato come una leggenda. Eppure il 9 giugno del 1978 Miroslav Klose nacque a Opole. Se non vi si è accesa alcuna lampadina l’atlante potrebbe farvi da interruttore. Puntate il dito sulla sagoma della Germania e spostatevi verso est. Superata la Repubblica Ceca siete in Polonia. È lì che, per Miro, tutto ebbe inizio. Dal giorno della sua nascita entrò a far parte di una minoranza, quella tedesca in terra polacca. Sarà per questo, forse, che per tutta la vita ha cercato sempre di distinguersi. E sì, ci è riuscito.

RIGORE E SACRIFICIO - Che confondersi tra la maggioranza è l’obiettivo di chi non ha ambizioni Klose lo ha capito fin dal suo approdo in Germania. Certo, ci avrà ragionato un po’ su. Quando con la sua famiglia si trasferì a Kusel aveva solo 6 anni. Ma a trasmettergli i tradizionali valori tedeschi ci pensò suo padre Josef, che da quella terra traeva le sue origini. Al primo posto c’era sicuramente il rigore. La tendenza più diffusa descrive i cittadini tedeschi come modelli di rigidità. In pratica ce li immaginiamo come dei veri e propri pezzi di legno. E Miro, almeno agli inizi, giustificò il luogo comune. Anzi, finì per esaltarlo quando iniziò il suo apprendistato da falegname.

DAL LEGNO AL CUOIO - Ma da papà Josef, che all’epoca aveva concluso già da due anni la sua carriera nel mondo del calcio, Miroslav ricevette un’altra importante eredità. Ben presto al peso dei ciocchi di legno si sostituì quello della palla di cuoio e i calli dalle mani si spostarono ai piedi. Se il nome che porti non è Donatello e se non sai trasformare un tronco in una scultura come la Maddalena, difficilmente potrai emergere nel settore. Con la palla al piede, però, le chance aumentano. Soprattutto se l’indole a far parte di una ‘cerchia ristretta’ ce l’hai fin dalla nascita. Così, sempre con senso del sacrificio e con rigore, Miro seguì le orme del padre. Tra le fila del SG Blaubach-Diedelkopf diede il via alla sua carriera da calciatore.

UN BIVIO TANTO ATTESO - Quell’intuizione fu giusta. Per debuttare in Bundesliga Klose ci impiegò 14 anni. Non ancora 22enne esordì nella massima Serie tedesca con la maglia del Kaiserlautern. Il primo gol arrivò nella stagione 2000/2001, in occasione del match contro il Werder Brema. Nello stesso periodo Miro si ritrovò finalmente davanti al bivio che tanto aveva atteso. La nazionale polacca fece di tutto per convincerlo, ma lui scelse la Germania. E non lo fece per scarsa riconoscenza, tutt’altro. Tra Miro e la Polonia c’era un legame indissolubile. Ma quello era il momento del riscatto. Il suo cognome, da sempre legato alla minoranza, doveva trionfare davanti a tutta la Germania. Il match contro l’Albania segnò il suo esordio con la maglia tedesca. Dopo 17 minuti di gioco l’emozione iniziale lasciò il posto alla razionalità: Klose realizzò il suo primo gol.

DALLA MINORANZA - Nel 2004 si aprì il capitolo Werder. Dopo un inizio incerto, Miro riuscì a mostrare a tutti di che pasta fosse fatto nella sfida contro il VfL Bochum, quando siglò la sua prima tripletta. Da quel momento gli fu tutto più chiaro. Per distinguersi non sarebbe bastato fare gol, avrebbe dovuto esagerare, farne tanti. La regola era la stessa, serviva dedizione, al primo posto doveva esserci il rigore. E i risultati non tardarono ad arrivare: nella sua seconda stagione in biancoverde conquistò il primo titolo di capocannoniere della Bundes: 25 reti in 26 partite.

ALLA MAGGIORANZA - Aveva 29 anni quando approdò al Bayern. La sua carriera arrivò al punto della consacrazione. Con i bavaresi ci fu la svolta. Ormai in Germania il suo nome era sulla bocca di tutti. Il suo trasferimento dal Werder Brema aveva fatto molto discutere. Forse per la prima volta Miro ebbe la sensazione di non essere più il rappresentante noto di una minoranza, ma di essere entrato effettivamente a far parte della maggioranza. La stessa che, nel giro di 4 anni, tra titoli e gol, aveva scalato. Le 98 presenze e le 24 reti lo avevano trasformato in un leader. In Germania quello che doveva fare l’aveva fatto. Lo scopo di una vita era stato raggiunto. Senza più pressioni, messa da parte la rigidità di un tempo, poteva voltare pagina.

LA RINASCITA - Miro scelse la Lazio. Fu la sua rinascita, in tutti i sensi. Il 9 giugno del 2011, quando festeggiava i suoi 33 anni, venne ufficializzato il suo trasferimento. Klose entra a far parte dell’universo biancoceleste tra lo stupore di metà Roma. Il 18 agosto c’è il suo esordio con l’aquila sul petto e, tanto per farsi gradire, realizza uno dei sei gol inflitti dalla squadra al Rabotnicki. Il 18 settembre del 2011, nella prima di campionato contro il Milan, il suo nome compare ancora tra i marcatori. Ai tifosi biancocelesti cominciano a tremare le ginocchia e la stessa sensazione li accompagna ogni volta che Miro, con il suo numero 11, scende in campo. Diventa praticamente un idolo quando, il 5 maggio del 2013, firma una cinquina contro il Bologna. È il primo giocatore della Lazio ad aver realizzato quel record in Serie A. Dopo 21 giorni alza al cielo la Coppa Italia vinta contro la Roma tra gli sguardi innamorati di uno stadio intero. C’è chi vorrebbe dare il suo nome al proprio figlio, ma all’anagrafe di Roma sembrerebbe una scelta azzardata. Ecco perché oggi, nelle case dei tifosi biancocelesti, almeno un cane o un gatto risponde al nome di Miro.

DESTINO - Con la sua Germania nel 2014 viene promosso campione del mondo. Klose ha gli occhi bagnati dalle lacrime, ha raggiunto il massimo al quale quell’ostinato bambino di 8 anni poteva aspirare. Dopo l’addio alla Nazionale c’è chi crede che la sua avventura nel mondo del calcio sia finita. Chi lo fa sbaglia. Miro continua a giocare: solo nel 2016 lascia Roma. Lo fa dopo aver conquistato il titolo di miglior marcatore straniero della storia della Lazio. I suoi 63 gol gli garantiscono anche il nono posto nella classifica dei cannonieri biancocelesti di tutti i tempi. D'altronde essere parte di un’élite rientra da sempre nel suo destino.