Klose apre alla Lazio: "Potrei restare un altro anno a Roma. Champions? Vogliamo il secondo posto"

Pubblicato il 22 marzo alle ore 19.53
24.03.2015 14:45 di  Claudio Cianci   vedi letture
Fonte: Andrea Centogambe/Claudio Cianci/MarcoValerio Bava - Lalaziosiamonoi.it
Klose apre alla Lazio: "Potrei restare un altro anno a Roma. Champions? Vogliamo il secondo posto"
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© foto di Federico Gaetano

AGGIORNAMENTO ORE 15.50 - E' tornato re, si è caricato sulle spalle il peso dell'attacco laziale, segna e fa segnare. La Coppa del Mondo alzata al cielo di Rio de Janeiro e il record di gol conquistato in Brasile non l'hanno appagato, non hanno spento il fuoco del campione che, una volta tornato a Roma, ha sofferto in panchina, scavalcato dall'exploit di Djordjevic senza perdere mai la motivazione, anzi alimentandola in ogni allenamento, in ogni minuto giocato. L'infortunio del serbo lo ha sganciato, gli ha permesso di prendere ritmo e condizione, Miro ha cominciato a segnare e non si è più fermato. Undici gol in stagione e sette assist sono lì a confermare la caratura di un campione senza tempo: "Fin dall'inizio della mia carriera ho capito che il fisico era una risorsa importante da gestire soprattutto una volta che si è diventati professionisti. L'esperienza mi ha insegnato a gestirlo sempre meglio, anche grazie alla mia forza mentale". 

Con la Lazio siete in zona Champions, dove volete arrivare? "Il nostro obiettivo primario è l'Europa League, ma è ovvio che ci piacerebbe ottenere qualcosa in più -ha dichiarato Miro a Sport1.de-, magari ottenendo quel secondo posto che ci garantirebbe l'accesso diretto alla Champions, ma non dobbiamo fare l'errore di pensare che sia facile mantenere la nostra posizione attuale. Sappiamo che il cammino che ci aspetta è complicato".

Giochi in Italia da quattro anni e la tua esperienza è molto positiva. Quella di Gomez e Podolski, invece, non va proprio a meraviglia. Perché? "Entrambi devono continuare a lavorare. Mario ha patito molto i suoi infortuni, ma abbiamo visto cosa sa fare quando recupera la condizione fisica. Lukas, invece, deve solo segnare un gol e sbloccarsi, il suo è un problema a livello mentale".

Hai giocato 20 partite e l'opzione per il rinnovo di contratto con la Lazio è scattata. Qual è il tuo futuro? "Ho firmato un contratto con la Lazio e all'interno di esso c'è una clausola che prevede il rinnovo, sono felice di questo, perché mi permette di concludere la stagione con serenità. Vedremo cosa deciderò, ma sarà una decisione veloce, non ci penserò più di tanto, mi confronterò con la mia famiglia per capire quale sia la miglior cosa da fare. Può darsi che mi fermi o che continui a giocare un altro anno qui a Roma. Ma adesso voglio solo concludere bene la stagione".

Molti tifosi del Kaiserslautern ti vorrebbero rivedere con la loro maglia: "Mai dire mai nel calcio, ma ad ora penso di poter escludere un ritorno al Kaiserslautern, anche se i tifosi e il club sono rimasti e rimarranno sempre nel mio cuore".

Stati Uniti ed Emirati sono possibilità concrete? "Gli Usa sono un paese affascinante e tanti giocatori sono andati là. Ripeto, vedremo cosa deciderò. Ho ancora un anno di contratto con la Lazio e chissà che non possa finire la mia carriera a Roma". 

Molte voci ti vogliono allenatore una volta terminata la tua carriera da calciatore: "E' un mio desiderio, è vero, perché mi permetterebbe di mantenermi a contatto con il campo, a viverlo quotidianamente. Sono affascinato dalle idee e dalle filosofie degli allenatori con i quali ho lavorato nel corso della mia carriere. Vedremo".

La Nazionale? "La mia decisione di lasciare è irrevocabile, ora mi godo la squadra dalla tv. Penso che la qualificazione agli Europei sia alla portata dei ragazzi, anche se dopo il Mondiale abbiamo perso un po' di brillantezza. Ora dobbiamo tornare a giocare come sappiamo e non mollare mai". Tre parole apprese a Roma. Quella che Miro si sta convincendo a far essere, ancora per un anno, casa sua.

 

Dopo l’infortunio di Filip Djordjevic, s'è caricato il peso dell’attacco della Lazio sulle spalle, trascinandola a ridosso della seconda piazza occupata dalla Roma. Miroslav Klose sta vivendo una seconda giovinezza, corre e pressa come agli albori della sua carriera. Tuttavia la sua permanenza nella Capitale per la prossima stagione è ancora in dubbio. Al quotidiano tedesco Kicker, Klose parla di aspirazioni future, di obiettivi stagionali e di molto altro. Di seguito vi proponiamo l'intervista integrale. 

Signor Klose, adesso pensa più al prosieguo della sua carriera o a quello che succederà dopo?

“A tutte e due. La cosa più importante per me è riuscire a evitare infortuni e restare in forma. Se inoltre riesco a fare anche gol, mi godo il tempo che mi rimane ancora di più. Allo stesso modo però mi esalto a pensare a quello che sarà dopo”.

Nel 2015 sta andando tutto bene, possiamo dire che anche la prossima stagione continuerai a giocare?

“Sarà una decisione spontanea che prenderò insieme alla mia famiglia come ho sempre fatto. Sono molte le cose di cui dobbiamo discutere, per esempio se continuare a giocare e in caso dove farlo. Di recente ho parlato con Roberto Baggio, mi ha detto che devo giocare il più a lungo possibile”.

Ha voglia di giocare ancora per la Lazio o la Bundesliga è una possibilità concreta?

“Mai dire mai. Tutto è possibile, forse anche la Bundesliga. Però per adesso non ho avuto un contatto concreto con un club”.

Come sono stati i mesi successivi al trionfo del Mondiale?

“Come mi aspettavo. Il trionfo con questa squadra è stato affascinante e particolarmente importante per me. Sono fiero di essere in cima alla lista dei marcatori mondiali”.

Da campione del mondo viene trattato in maniera diversa?

“No e non voglio nemmeno che sia così. Però ogni tanto in qualche sms che ricevo la prima frase è: “Ciao campione del mondo”.

Lei in passato ha detto che si resta campioni del mondo per tutta la vita. Lo percepisce ogni singolo giorno questo nuovo status?

“No, però è fico sentirsi chiamare campione del mondo”.

Quali momenti le tornano in mente quando pensa al Mondiale?

“L'immagine che mi resterà in testa, o meglio nel cuore, è il fatto di essere stato sulla tribuna del Maracanã a ritirare la coppa e aver guardato dall'alto tutto lo stadio che mi applaudiva. Nel 2000 sono andato in vacanza con due amici a visitare il vecchio stadio di Rio, però lo trovammo chiuso e potei sbirciare solo attraverso le sbarre”.

Com'è cambiato il suo status alla Lazio?

“Adesso sono il primo a cui fanno i massaggi! I miei compagni dicono al fisioterapista di fare attenzione perché ha tra le mani un campione del mondo”.

A inizio anno nel girone d'andata non era soddisfatto di quanto Pioli la utilizzava, si aspettava di giocare di più?

“All'epoca non ero al massimo della forma, che volevo raggiungere giocando più partite possibili. Forse ho fatto perfino troppo, in ogni allenamento continuavo a correre e a fare scatti fino a distruggermi fisicamente. Con l'allenatore ho sempre avuto un ottimo rapporto, anche se sono stato critico sul minutaggio che mi concedeva”.

Un campione del mondo in panchina è una cosa possibile?

“Ovviamente è difficile, però era giusto perché non ero mai al 100%”.

Un campione del mondo può avere nuovi obiettivi?

“Si può sempre migliorare, quando sto bene voglio giocare in modo da aiutare la squadra. Non riesco a rilassarmi, il mio orgoglio continua a essere enorme. È stato così per tutta la mia carriera. Se l'allenatore ti dice di inseguire l'avversario che ti ha rubato il pallone, lo fai due o tre volte al massimo. Se la motivazione viene da te, non c'è bisogno che te lo dica nessuno. Voglio qualificarmi alle coppe europee con la Lazio, che sia l'Europa League o la Champions League”.

Sono ormai quattro, cinque anni che è in Italia, come valuta la sua decisione di andare all'estero?

“E' stata una decisione giusta, l'Italia è un Paese completamente diverso, molto più rilassato. Le persone, l'atmosfera, il tempo, il cibo, si vive meglio. E anche il fatto che nessuno concepisca la puntualità come un dovere assoluto, ti fa vivere più rilassato”.

Eppure lei all'intervista è arrivato puntuale, quindi continua a non sentirsi italiano...

“In questo no. Ho notato che molti dopo il pranzo perdono tempo, io se ho un appuntamento ci vado subito. Quando si aspetta un operaio è fastidioso, la puntualità è sinonimo di rispetto nei confronti del prossimo”.

Come l'ha cambiata l'Italia dal punto di vista calcistico?

“All'inizio era difficile visto che le difese sono molto più attente. Poi col tempo ho imparato a riconoscere i buchi che vengono lasciati agli avversari”.

L'Italia è ancora il campionato dei sogni per un professionista?

“Per un giocatore esperto come me sì”.

Quindi la Serie A è l'ideale per i giocatori a fine carriera e non per i giovani?

“Assolutamente sì. Anche se adesso si cura di più la crescita dei giovani. Antonio Conte ha grandi idee, anche se non sarà facile. Quello che Matthias Sammer è riuscito a fare come direttore sportivo della DFB lo abbiamo potuto apprezzare solo nel 2014. Gli italiani stanno iniziando solo ora a fare questo tipo di lavoro”.

Cosa non funzione nel calcio italiano?

“Per esempip i prezzi dei biglietti sono troppo alti, il calcio così non emoziona più. Ma i problemi sono stato individuati, questo è il primo passo per migliorare”.

In che posizione metti la Bundesliga tra i campionati europei?

“Al primo posto. Nei prossimi anni Wolfsburg, Borussia Dortmund e Schalke 04 torneranno a dar fastidio al Bayern Monaco”.

Perché Podolski e Gomez stanno faticando in Italia?

“Mario ha avuto difficoltà a causa degli infortuni e anche Poldi ha bisogno di essere al top della forma. Solo così si può giocare bene e segnare”.

Sono ancora in grado di dare quello che ci si aspetta da loro?

“Sì, a me piacciono entrambi”.

Lei è professionista da 15 anni, quali cambiamenti ha riscontrato nel calcio?

“Prima i giovani venivano educati dai compagni più maturi, Olaf Marshall, Harry Koch, erano degli esempi al Kaiserlautern. Marshall per me è stato come un secondo padre. Io ero costretto a portare i palloni, i conetti e tutti gli strumenti al campo d'allenamento. Alla fine dovevo rimettere tutto a posto. Guai a dimenticare qualcosa, in quel caso sarei stato preso di mira. Un altro mio compagno di squadra, Gerry Ehrmann, mi disse di non rischiare mai di dare un calcione a un compagno più maturo, altrimenti avrei imparato sulla mia pelle che era meglio non farlo. Oggi se dici ai giovani di portare al campo i palloni, ti rispondono: “Anche tu hai due mani””.

È più triste o più felice che la sua carriera stia andando verso la fine?

“Più contento che triste. Voglio dare l'addio nel migliore dei modi, non voglio diventare un peso per la squadra”.

Ti sei mai pentito di aver lasciato la Nazionale?

“Mai. Sono un testardo, nessuno può discutere le mie decisioni".

Chi è il suo erede in Nazionale?

“Mario Gomez. Quando è al top della forma, è lui l'attaccante che segna e segnerà per la Germania. Come seconda punta c'è Thomas Muller, un 'mascalzone' con il fiuto del gol”.

Lei si vede più come punta centrale o come falso nueve?

“Sicuramente non come fantasista, nel caso in cui Van Gaal avesse ancora dubbi. Al Bayern mi disse che potevo giocare solo come numero 10 e io ci ho pure provato, ma dio mio che risultati! Non mi muovevo bene, non toccavo mai il pallone. Gli dissi che non mi ci trovavo. Lui mi disse che dovevo solamente correre in modo da creare spazio per i miei compagni”.

Le fece male entrare nella finale di Champions League del 2010 solo a mezz'ora dalla fine?

“L'Inter avrebbe vinto lo stesso, era troppo forte. Comunque sia chiaro, io con Van Gaal ho imparato molto, ogni tanto ci sentiamo ancora”.

È sopreso dall'avvio stentato della Germania nelle qualificazioni europee?

“No, ci può stare”.

Il suo addio, quello di Lahm e di Metersacker, sono più gravi di quanto si potesse pensare?

“In attacco ci sarà sempre qualcuno in grado di segnare, in difesa abbiamo ottimi giocatori come Boateng e Hummels. Boateng insieme a Ramos è il migliore difensore del mondo, Lahm invece è difficile da sostituire. Mancherà come uomo e come capitano”.

Chi deve coprire questo buco?

“Neuer, Schweinsteiger , Khedira e Boateng”.

E Muller?

“È uno di loro. Ma anche Podolski a 25 anni sembrava dovesse diventare uno dei giocatori più rappresentativi. Neuer per me è uno dei più forti al mondo, come portiere, come uomo, come calciatore, per la personalità che ha. Non conosco un muro come lui”.

Cosa si aspetta dalla Nazionale tedesca in futuro?

“Molto. Giochiamo per vincere sia all'Europeo del 2016 che ai Mondiali del 2018”.

Quali punti deboli vede in questa Nazionale?

“Nessuno. Anche se dobbiamo avere più costanza di rendimento con i terzini. Per farlo dobbiamo capire se interpretare quel ruolo come difensivo o offensivo. Se sono attaccanti aggiunti o difensori”.

È giusto che venga impiegato Durm nonostante non stia brillando?

“È sotto pressione, diamogli tempo. Anche Schmelzer non è in forma”.

Alla fine della carriera da calciatore comincerà subito la carriera da allenatore o si prenderà un anno sabbatico?

“Non sono mai stato un tipo che ho perso tempo, quello me lo concedo al massimo quando vado a pescare. Voglio prendere il patentino da allenatore il più presto possibile”.

Molti ex campioni, anche ex campioni del mondo, una volta finita la carriera da giocatore hanno avuto difficoltà economiche. Come te lo spieghi?

“A maggior ragione i campioni del mondo che hanno guadagnato di più non riescono a fare questo cambio radicale di vita e continuano a spendere come se gli introiti fossero gli stessi. Altri hanno fatto semplicemente scelte sbagliate. Ma non ho preoccupazioni al riguardo, non credo nemmeno di ingrassare particolarmente”.

Non ne ha abbastanza del mondo del calcio?

“Non ne avrò mai abbastanza. Ho sempre vissuto il calcio e voglio continuare a viverlo. Perfino quel che riguarda i miei figli, sono concentrato nel vedere dove possono migliorare. Uno dei due in passato è stato un portiere, poi ha cambiato ruolo quando una volta per sbaglio gli ho rotto una mano. Tirai troppo forte, mi disse che su cinque rigori non gliene avrei segnato nemmeno uno. Al quinto rigore purtroppo gli ho fatto male, da quel momento è diventato un giocatore di campo, più precisamente un centrocampista. Da ex portiere ha avuto bisogno di otto mesi per trovare i giusti movimenti in campo. L'altro è un attaccante”.

Lei è un critico severo dei suoi figli?

“Credo di sì, controllo tutto e discutiamo di tutto”.

Un campione del mondo ha bisogno di un tirocino per imparare nuovi mestieri del calcio?

“L'esperienza sul campo sicuramente non fa male”.

In questo momento lei guarda le partite della Nazionale con l'occhio del giocatore, dell'allenatore o del tifoso?

“Del tifoso. Guardo i nostri giocatori in tv, da allenatore li andrò a vedere allo stadio”.

Da allenatore, crede che guarderà le partite più con l'occhio dell'attaccante?

“Dicono che di solito gli allenatori che sono stati attaccanti siano più attenti alla difesa, ma c'è anche chi dice il contrario. Voglio avere difensori veloci che sappiano giocare il pallone”.

Come sarà l'allenatore Klose?

“Esattamente come il giocare. Se devo dire qualcosa, la dico. Questo me l'ha insegnato Hitzfield, per lui questo tipo di discorsi sono l'alfa e l'omega. Una volta Kahn arrivò in ritardo all'allenamento prima di una partita molto importante col Dortmund, Hitzfield gli disse: “Con i tuoi bei stivali da cowboy puoi tornartene a casa”. Rimasi sconvolto, come tutto il resto della squadra”.

Quale squadra si avvicina di più alla sua filosofia di gioco?

“Il Bayern Monaco. Come si muovono anche senza la palla è affascinante. Ogni giocatore deve sapere cosa fare in campo”.

Da quale degli allenatori che ha avuto vuole copiare qualcosa?

“Ho avuto tanti ottimi allenatori, di ognuno ho memorizzato le cose positive”.

Il direttore sportivo della DFB, Hansi Flik, ha già detto che lei prenderà una nazionale giovanile tedesca...

“Ho già guardato molte delle nostre nazionali giovanili. Allenarne una è un compito che mi stuzzica. Comunque il mio obiettivo è la Bundesliga, non mi ci vedo proprio tutta la vita nelle giovanili”.

Oppure il suo amico Sammer l'ha già sponsorizzata per il Bayern Monaco?

“No, assolutamente no”.

Vuole allenare in Bundesliga?

“Sì, è il mio obiettivo principale. Se farò l'allenatore lo farò ad alti livelli, proprio come da giocatore. Il mio futuro è ancora totalmente incerto, posso immaginare qualsiasi cosa. Anche di fare lavori che ho fatto in passato o di aprirmi una ditta tutta mia”.

Cosa consiglia a un giovane calciatore?

“Di curare l'alimentazione e dormire molto”.

Ha raggiunto ogni traguardo nella sua carriera?

“Sì, ma ho perso la finale dell'Europeo nel 2008 e la finale di Champions nel 2010. Nel 2002 quando persi la finale del Mondiale, credevo di aver perso un'occasione unica, invece non è stato così”.

C'è una squadra per la quale avrebbe voluto giocare?

“Mi sono trovato bene ovunque. Kaiserlautern era la mia città, a Brema mi sono evoluto come calciatore grazie a Schaaf. A Brema mi trovai benissimo anche con Micou. Al Bayern Monaco ho imparato moltissimo sia dal punto di vista calcistico, che umano. Per questo ci voglio tornare presto. Poi sono andato alla Lazio perché almeno una volta nella vita bisogna giocare all'estero”.

Il Bayern Monaco è stato l'unico grande club della sua carriera che ha cercato di prenderla?

“In passato mi ha contattato il Barcellona e un paio di club inglesi”.

Loew l'ha descritta come un campione del mondo che ha permesso al calcio di evolversi. Ha detto che non ha mai incontrato un giocatore così affidabile, con uno spirito di squadra come il suo. L'ha descritta bene?

“È bello sentirsi dire cose del genere, ma i veri campioni sono Messi, Cristiano Ronaldo e Ibrahimovic”.

Però lei è il miglior marcatore dei Mondiali, quindi è un campione...

“Può essere. Il mio obiettivo era segnare quei due maledetti gol in Brasile”.

È vero che il calcio è diventato uno show?

“È difficile scindere il calcio dallo spettacolo. Io non ho social network perché non voglio fare della mia vita privata uno spettacolo”.

Il suo unico show è la capriola dopo il gol?

“Quando mi riusciva sì, ma spesso ricordo non sia riuscito granché”.

Quando sarà l'ultimo salto?

“Non lo so, anche al Mondiale non volevo farlo. È semplicemente capitato”. 

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