Zoff contro i padroni del calcio italiano: "Respinto con violenza, oggi rido se mi chiamano saggio"

Pubblicato ieri alle 16:58
20.09.2014 07:00 di  Matteo Botti  Twitter:    vedi letture
Fonte: Matteo Botti / Lalaziosiamonoi.it
Zoff contro i padroni del calcio italiano: "Respinto con violenza, oggi rido se mi chiamano saggio"
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© foto di Federico De Luca

“E accadde l’inevitabile. Il mondo del calcio non mi perdonò quella mossa. E mi fece fuori. In un primo momento il telefono continuava a squillare. Mi piovevano addosso complimenti di ogni sorta, quelli autentici e sentiti di quanti avevano capito il senso della mia decisione, e quelli un po’ ipocriti di chi ci aveva voluto leggere un significato politico. Poi, piano piano, i complimenti lasciarono spazio al silenzio. E mi resi conto che ciò che avevo previsto si stava lentamente realizzando: il mondo del calcio, il mio mondo, mi stava respingendo come un corpo estraneo. Avevo fatto qualcosa di imperdonabile, di non previsto dal codice non scritto che regola la vita del pallone. Quello che in gergo chiamiamo l''ambiente’ è pronto a perdonare qualsiasi reato, colpa o vizio, a patto, però, che tutto rimanga ‘all’interno’, che tutto venga processato e metabolizzato dai suoi ‘organi interni’. Puoi corrompere arbitri, vendere partite, insultare, picchiare, commettere qualunque nefandezza, ma finché ti dimostrerai pronto a restare all’interno del sistema, finché sarai disposto a celebrare i suoi riti. Allora potrai contare sull’assoluzione o, quantomeno, sulla clemenza della corte. E un posto per te, da qualche parte, in qualche commissione, in qualche anfratto della macchina burocratica che tutto sostiene, si troverà sempre. Appena, però, qualcuno rompe lo schema e si ribella, fosse anche solo per difendere la propria dignità, allora viene rapidamente espulso, e con violenza. Parole sentite, ragionate e per questo ancor più sofferte. Dino Zoff scopre le carte, raccontando il suo allontanamento dal mondo del calcio dopo l’Europeo del 2000, quello di BelgiOlanda. Le polemiche con Berlusconi e l'allontanamento forzato, un accantonamento di una figura quasi istituzionale. Un’emarginazione sopportata a lungo in silenzio. Fino all’uscita, odierna, della autobiografia del Dino nazionale. L’ex allenatore e presidente biancoceleste presenterà la propria autobiografia – edita da Mondadori - domenica alle 12, in occasione di ‘Pordenonelegge’, dialogando col premio Strega Francesco Piccolo.

Di seguito altri passaggi dello scritto, presenti in anteprima nell’edizione di oggi di Repubblica. “… di colpo, risultavo ‘inaffidabile’ per il sistema. Zoff inaffidabile. Una specie di ossimoro, a pensarci bene. Perciò mi ritrovai, poco più che sessantenne, tagliato fuori da quella che pensavo fosse la mia vita. (...) A dire il vero, la storia delle dimissioni dalla Nazionale, il conflitto con Berlusconi e i berlusconiani e i giochi di potere dentro la Federazione furono solamente una delle cause della situazione in cui mi ero venuto a trovare. E sinceramente, credo, nemmeno la più rilevante. C’era un problema, come dire, antropologico, culturale, alla base della mia ‘espulsione’ dal mondo del calcio. Me ne sono accorto tardi, l’ho capito lentamente. (...) Gli insulti a Bearzot, i riconoscimenti postumi e tardivi a Scirea erano segnali chiari, che forse avrei dovuto cogliere prima in tutta la loro potenza. E invece... Oggi mi guardo intorno e ho l’impressione di non aver influito, di non aver cambiato niente, di aver remato controvento per quarant’anni. E basta. Mi dicono che sono entrato nella Storia, che sono un monumento. Mi viene da ridere. Parlano di coppe e di trionfi, ma quelli sono solo miei e dei miei compagni di squadra. come campione ho fallito la mia missione. La Storia è un’altra cosa, e i monumenti, quando non fanno una brutta fine per motivi politici, di solito finiscono per essere poco più che arredo urbano, habitat per piccioni, o cose del genere. La verità è che ho vinto qualche coppa, ho battuto molti record, ma non ho lasciato il segno, e il tempo si porterà via tutto, come una folata di vento in autunno spazza le foglie del parchetto sotto casa, dove adesso gioca a palla mio nipote. E mi viene da ridere anche quando mi chiamano ‘saggio’. Perché in quella parola — che a un certo punto avevano affibbiato anche a Bearzot, ovviamente dopo essere stati costretti a rimangiarsi quell’altra, ‘vecchio’, con cui lo sbeffeggiavano — c’è tutta l’ipocrisia del calcio e, per estensione, del Paese. Se per qualche motivo hai una storia non trascurabile, e però non sei un ‘personaggio’, non fai notizia, non strepiti cose bislacche, non sei funzionale a qualcuno, allora diventi un ‘saggio’. (...) Le ‘istituzioni’ ti invitano, quando se lo ricordano, a qualche cerimonia commemorativa, ma per lo più ti ignorano. Poi, quando invece ci sarebbe bisogno della tua ‘saggezza’, allora spariscono tutti. Perché, in realtà, è proprio la saggezza che gli fa paura. Penso a quello che è successo nel 2006 con Calciopoli. Uno degli scandali che ciclicamente scuotono il mondo calcistico e mettono in mostra quanto sbagliato sia il sistema. Avevano bisogno di un saggio — così dissero — per decidere cosa fare a proposito dell’assegnazione dello scudetto. Invece, fecero in modo di arruolare gente che tutto era fuorché saggia, benché così li chiamassero. Se avessero chiesto a me, glielo avrei detto in cinque minuti che non aveva senso assegnare lo scudetto all’Inter. Se il campionato era stato falsato, era falsato e basta. Come se non si fosse disputato. Ma a me nessuno ha chiesto niente. E i ‘saggi’ decisero che lo Scudetto andava assegnato all’Inter. Sarà un caso che da dieci anni quella decisione continua a far discutere? E i ‘saggi’ che ne dicono? Meglio non chiederglielo”.