Il nuovo look di Lotito: un gattopardesco tentativo di "cambiare tutto per non cambiare nulla"?

17.07.2014 17:35 di  Alessandro Zappulla   vedi letture
Il nuovo look di Lotito: un gattopardesco tentativo di "cambiare tutto per non cambiare nulla"?
TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Un idillio mai nato, o meglio tramontato sul nascere circa 10 anni fa. Sin dall’inizio in pratica, quando qualcosa si spezzò irreparabilmente (e senza troppi ripensamenti) al momento dello start up della nuova era biancoceleste. Il presidente contro i suoi tifosi, in un leit motiv che caratterizzò il Lotito-pensiero per tutta la sua gestione, diventando persino un caposaldo da sbandierare nel goffo canovaccio da “picconatore” interpretato nei più disparati salotti della serie A. Dalla “sparuta minoranza”, al giro di “prostituzione in curva”, la parentesi del tifo come optional inopportuno del calcio, si chiude per magia dopo un decennio. Ora l’appello al laziale sugli spalti ha soppiantato del tutto l’etichetta di facinoroso a prescindere. Le critiche pretestuose, cancellate dai mea culpa improvvisi. La presunzione di spazzare via le offese dalle menti della gente in uno schiocco di dita fa dama con la convinzione di riscrivere le regole del sistema calcio di cui lui stesso fa parte. Claudio Lotito il riformista dal di dentro, che si adegua e naufraga con il sistema stesso che rappresenta e dirige, quasi dall’inizio della sua esperienza “pallonara” (insieme ad altri vecchi volponi della sfera a scacchi). Parla di stadio di proprietà, pigiando il pedale sulla possibilità di sfruttare le sue aree poco edificabili. Minaccia di portare la Lazio fuori Roma (Valmontone, ndr) e si fa una risata alla faccia della storia laziale, quando qualcuno gli fa notare che il club che dirige è il più vecchio della Capitale. “Al Flaminio? Vacce te…”,  sghignazzava all’interlocutore di turno, che non più di qualche mese fa gli sottoponeva il sogno profondo covato dalla sua gente. Edificare un catino biancoceleste nel cuore della città, in quelle zone da sempre colonizzate dai colori del cielo. “La Lazio è mia e la lascio a mio figlio…”, ribadiva il vecchio Lotito, nella dispotica convinzione che la proprietà privata, scavalchi sempre e comunque i sentimenti di una storia ultracentenaria. “Ripartiamo insieme, coinvolgendo tutti”, dirama invece l’ultimo comunicato del suo nuovo look. Idea e design dalla ghost writer assunta a Formello: Monica Macchioni, che tenta l’impossibile. Demolire e ricostruire in un sol colpo un’immagine che appare irreparabilmente scolpita nella memoria della gente. Comunicati a raffica, dove si affrontano i più disparati argomenti: dalla politica al calcio e soprattutto alla Lazio. Spegnere il vecchio pensiero per dar sfogo al nuovo. Come un interruttore che toglie la luce sul ricordo delle passate farneticazioni, illuminando con un faro il “nuovo presidente amico della gente”. Faticosa impresa imbrigliare le dichiarazioni dell’uomo dalla citazione facile, in un flusso interminabile di comunicati stringati. Latinorum e massime, soppiantate all’improvviso da promesse e buoni propositi. Un cambiamento epocale nella managerialità di questo “presidente padrone”, che sa però quasi di gattopardesco. Un mutamento totale che lascia dubbi e sospetti, tanto da ricordare il motto del principe di Salina nel Gattopardo: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Gesto estremo per tenere a forza le briglie del proprio comando o inizio di una nuova epoca? Ai posteri l’ardua sentenza verrebbe da dire, anche se lo spauracchio degli scarsi abbonamenti e i segnali di un presente ricco di promesse, ma povero di contenuti non lascia ben sperare. Fa appello al mercato Lotito, e da lì dovrebbero giungere i consensi della gente, ma resta poco da sperare al netto delle operazioni compiute. Facile alzare l’asticella delle ambizioni a parole. Difficile invece nei fatti sfidare le big di questo campionato (Roma “stile cragnottiana” inclusa) con i soli innesti di Basta (in prestito dall’Udinese a 30 anni), Parolo (per convincerlo è stato contrattualizzato sino a 34 anni) e la promessa Djordjevic (spola tra la B e la A francese, giunto a parametro zero). Troppo poco. Cambiare tutto per non cambiare niente? Il dilemma resta aperto. A oggi il popolo laziale e mister Pioli, attendono ancora due colpi in difesa (Astori e De Vrij rischiano di diventare un 'Yilmaz 3 la vendetta') e la conferma di Candreva sulla trequarti (complicata, ma non impossibile), per sperare fino alla fine in un posto in Europa. Il minimo indispensabile insomma, dopo tre anni di non mercato e di scelte fallimentari, non certo la luna. Piccoli passi per ripartire. Il rispetto innanzitutto, che vale molto, che vale tanto. Assai più di mille comunicati e di mille parole.