Verón: "Moratti ha messo soldi e tanta passione nell'Inter, Cragnotti non mi dava questa impressione..."

09.10.2014 07:57 di  Andrea Centogambe  Twitter:    vedi letture
Fonte: Lalaziosiamonoi.it
Verón: "Moratti ha messo soldi e tanta passione nell'Inter, Cragnotti non mi dava questa impressione..."
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Sabato scorso Juan Sebastian Verón è stato eletto presidente dell’Estudiantes di La Plata col 75% dei voti, prevalendo nettamente sul rivale Lombardi. Quest'ultimo fra i propri sostenitori annoverava un certo Carlos Bilardo, ex giocatore dell'Estudiantes e c.t. dell'Argentina di Maradona. Come riporta l'edizione odierna de La Gazzetta dello Sport, a urne scrutinate la prima domanda per Sebastian è stata: “Ora che ne sarà del Narigon (il naso dell’ex c.t. è alquanto pronunciato, da cui il soprannome, ndr)?”. Lui ha guardato i cronisti e ha risposto serafico: “Questa è la casa di Bilardo e lo resterà per sempre. Le porte sono aperte, abbiamo avuto idee differenti ma ci manca solo che lo tenga fuori. Lui è l’Estudiantes”.

PARIGI - Da La Plata a Parigi, l'ex 23 biancoceleste ha fatto tapppa in terra transalpina per partecipare a un grande convegno organizzato da Valter Di Salvo, ex preparatore atletico di Lazio, United e Real e oggi direttore del dipartimento di performance calcistica dell’accademia Aspire di Doha, Qatar. Tra i presenti c'era anche Roberto Mancini, a cui Verón si è rivolto affettuosamente più di una volta durante la conferenza. Prima, però, si è parlato della carica nuova di zecca de La Brujita e di propositi per il futuro: “Lo sport argentino ha sempre funzionato in modo paternalista: il presidente decide tutto, gli altri obbediscono. Io appartengo a una generazione di atleti che ha vissuto molto all’estero, e siccome siamo amici fra noi ne parliamo: Ginobili e Scola nel basket, Pichot nel rugby, io e altri nel calcio. Vogliamo cambiare, portare le nostre esperienze europee e americane. Vogliamo introdurre il lavoro di squadra, perché da solo nessuno combina più nulla di buono. In Argentina una società sportiva è molto più di una squadra per cui tifare. È il luogo in cui vai con tuo padre, tuo fratello, i tuoi amici, è una famiglia allargata. È una parte importante della tua vita sociale, l’estensione del cortile di casa, e in questi anni di crisi è l’istituzione nella quale crescere i bambini. Io li vedo arrivare al pomeriggio, magari dopo due ore di camminata per raggiungere il centro sportivo, magari senza aver mangiato dopo scuola, magari scappati da casa perché papà e mamma non stanno più assieme ma non hanno il denaro per separarsi, e qualcuno diventa violento. Ecco, il mio Estudiantes deve proporsi come genitore, allenatore, psicologo: una rete di protezione”.

L'ITALIA, IL MANCIO - Da Platini a Rummenigge, fino ad arrivare a Savicevic, il panorama dirigenziale si è arricchito di ex campioni. In Italia ci ha provato e ha fallito Demetrio Albertini: “Ho seguito la campagna elettorale di Demetrio. Ho tifato, anche. L’unico consiglio che posso dargli è quello di non scoraggiarsi, di preparare la rivincita. Anche in Italia esiste una classe di vecchi dirigenti che non vuole saperne di abbandonare le posizioni di potere, ma il tempo è dalla nostra parte”. Sugli anni in Italia: “Cosa mi hanno lasciato? Eh, che bella domanda. Vero Mancio? Hai sempre detto di avermi voluto tu alla Samp, vero? (Mancini fa cenno di sì, ndr). Da ragazzo mi svegliavo presto domenica perché la tv argentina dava una partita della A. Era quasi sempre il Napoli di Maradona, ma ricordo di aver visto anche parecchie gare della Samp: c’era Cerezo, Lombardo che aveva già la pelata, e poi Vialli e Mancini, Mancini e Vialli, il telecronista ripeteva sempre quei due nomi. Così, quando al Boca mi dissero che la Samp mi aveva acquistato, sapevo dove stavo andando. Però l’emozione di incontrare Roberto…”. Mancini lo interrompe fingendosi seccato, Verón riprende ridacchiando: Tu eri il capitano, e da noi il capitano è una figura importante, che incute rispetto e un po’ di timore. Ci siamo incontrati la prima volta in quel ristorante sul mare, e mentre venivi a salutarmi le persone sedute al mio tavolo sussurravano 'guarda che Roberto è come se fosse il presidente, ti ha scelto lui'. Che emozione conoscerti. Mi insultava sempre se gliela passavo un centimetro lunga o un centimetro corta, e soprattutto se non gliela passavo. La legge della Samp era ferrea: ogni azione doveva transitare per il suo piede”. Torna serio: “Avevo 21 anni, e fino a tre giorni prima vivevo con mamma e papà in un altro continente. Senza la protezione di un amico come Roberto, avrei corso dei rischi. Non tutti maturano in una settimana".

MORATTI, CRAGNOTTI E TANZI - "Dall'Italia mi portai dietro un bella opinione su Moratti, perché era percepibile come nell’Inter non mettesse solo denaro, ma anche passione. Mi è spiaciuto apprendere che aveva venduto, l’ho vissuto come la fine di quella parte di passato che non andrebbe mai buttata. L’amore per una maglia, per dei colori, per un club che ti rimescola qualcosa dentro da quando eri bambino. Ecco, per capirci… Cragnotti e Tanzi non mi avevano dato la sensazione di un legame con Lazio e Parma cresciuto nel tempo. Non ne sto parlando male, quando ho saputo dei loro guai mi è dispiaciuto. Ma erano un’altra cosa”. Gli viene chiesto se segue ancora la Serie A: “Non assiduamente ma un po’ sì, certo. Non ho visto Juve-Roma, ero in aereo per venire qui, e non saprei che dire a proposito delle polemiche sull’arbitraggio. Però penso che la Juventus abbia ancora un filo di margine, e quel filo si chiami Tevez. Da quando è a Torino sembra rifiorito, sta giocando benissimo e sono abbastanza certo che in un futuro vicino tornerà nella Seleccion… Diamo tempo al nuovo c.t.”. C'è tempo per un’ultima domanda. “Cos'è per me Platini? Un grande punto di riferimento. Dovesse capitare, per la Fifa voterei lui, certo non Blatter”.