Lazio, Cucchi: "Il calcio annoia chi non lo capisce. Troppa tattica? Maestrelli..."

29.03.2024 19:30 di  Niccolò Di Leo  Twitter:    vedi letture
Lazio, Cucchi: "Il calcio annoia chi non lo capisce. Troppa tattica? Maestrelli..."
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© foto di Federico De Luca

Una voce che i laziali non dimenticheranno mai, destinata a restare nella storia di quell'incredibile impresa datata "18 e 4 minuti, del 14 maggio del 2000" in cui la Lazio è diventata Campione d'Italia per la seconda volta dalla sua fondazione. Intervenuto ai microfoni di TMW Radio, l'ex telecronista Riccardo Cucchi ha parlato del calcio di oggi, della spettacolarità delle partite, dei cambiamenti avvenuti in questi anni, fino ad arrivare a citare la Lazio del 1974, prendendo l'esempio degli allenamenti di Tommaso Maestrelli:

"Se il calcio può ancora cambiare? Sono convinto che sia possibile. Né per romanticismo, né per nostalgia. Quest’ultima poi è cattivissima consigliera. Il calcio deve interrogarsi sul dove sta andando a finire e se voglia restare uno sport o andare verso lo spettacolo. Ne ho viste tante di partite. Ma mentre le raccontavo non pensavo al fatto che fossero belle o brutte. Se non si ama il calcio e si pretende intrattenimento si perde di vista il senso. C’è un problema di questi tempi: c’è stanchezza dei giovani nei confronti di questo sport. Essere annoiati dal calcio, vuol dire non averlo capito. Il calcio si vede dallo stadio, da casa in tv… dal divano con 24 telecamere è una fiction. Se giocassero in continuazione, tutti i giorni, Sinner contro Djokovic, cosa pensereste? Il calcio esiste perché esiste la passione di chi lo ama. Anche le squadre più sconosciute hanno degli appassionati che amano la propria squadra e il proprio contesto. Perché il calcio sia appassionante, ha bisogno di sentimenti. In curva vedo gente di ogni età ed estrazione sociale commuoversi ed arrabbiarsi per 90'".

DRIBBLING - "Avrete notato come i narratori di calcio oramai quasi non usino più questa parola. Si usa il 'saltare l’uomo'. C’era l’ardimento e l’ardire di pensarlo e anche il coraggio di osarlo. La prima cosa che insegnano ai bambini è la triangolazione. Nessuno incoraggia più nell’uno contro uno il ragazzino a saltare. Borges diceva che dove c’è un bambino che prende a calci qualcosa, comincia la storia del calcio. Voglio citare un elemento biografico di Bruno Giordano. Lui è nato a Vicolo del Cinque, a Trastevere. Quelle vie sono lastricate di sampietrini. Lui da bambino giocava lì. Da questa esperienza da strada, all’oratorio del Don Orione. Queste sono storie che non esistono più".

NAZIONALE - "Tornando ai settori giovanili c’è un fraintendimento di base. L’altezza media dei calciatori si è innalzata da morire. Pensate che Boninsegna era alto 174 centimetri. Oggi sarebbe considerato basso. Il problema della nostra Nazionale è l'assenza di talento. A volte sottovalutiamo il fattore del talento della Nazionale del 2006. Il mio modo di pensare al futuro del calcio è un’analisi fattuale di quel che abbiamo sottovalutato nel percorso, vale a dire il sentimento". 

MAESTRELLI - "Gli allenatori, diventati esasperatamente tattici, hanno delle colpe. Ero a cena con Franco Nanni, il '6' della Lazio del 1974. Sapete qual era l’allenamento base della Lazio di Maestrelli? Partitelle. Punto e basta. L’overdose di calcio? Se scomparisse tutta la frutta e ci fossero solo le mele, prima o poi le persone si stancherebbero pure delle mele".