Immobile, leader pure in panchina: il suo derby è l'esaltazione della lazialità

08.11.2022 07:35 di  Elena Bravetti  Twitter:    vedi letture
Fonte: Elena Bravetti - Lalaziosiamonoi.it
Immobile, leader pure in panchina: il suo derby è l'esaltazione della lazialità

La Lazio vince il derby. Lo fa grazie all'intelligenza di Sarri, al gol di Felipe Anderson, alla caparbietà della coppia di centrali formata da Romagnoli e Casale. Poi, senz'altro, grazie al sostegno del pubblico, ancora una volta autore di uno spettacolo da stropicciarsi gli occhi. C'è poi chi, seppur senza aver giocato neanche un minuto della sfida, ne è stato protagonista. Un leader che, ahinoi, è stato obbligato a sedersi in panchina. Ma pur sempre un leader. Il derby di Ciro Immobile è inedito, perché lui è abituato a giocarle queste partite, ad andare in gol, a dannarsi in campo alla ricerca della giocata risolutiva. Ma pur sempre speciale

PETTO IN FUORI - Nella lista dei convocati di Sarri non figura il nome del bomber biancoceleste, che però non si ferma, non si arrende. Chiede, ed ottiene, all'allenatore di poter esserci. Eccolo allora nel tunnel dell'Olimpico. E poi in campo. Il tecnico lo sottolinea nel pre-gara: "Non giocherà, non è pronto". Ma Ciro non vuole perder tempo, e approfitta del riscaldamento dei compagni per proseguire il lavoro che sta svolgendo, senza sosta, a Formello. Corre, da un'occhiata agli esercizi della squadra, si gira e contempla una maestosità tutta biancoceleste. Petto in fuori. Attaccamento viscerale. Orgoglio di essere un re per quel popolo. Fierezza nell'essere capitano di quel gruppo che ora, senza di lui, perde un punto di riferimento. Ma non ne è intimorito, tutt'altro. Non parte sconfitto, ma proprio quell'assenza, così pesante, rende palese una motivazione in più

NERVI TESI - La partita inizia e Immobile è in panchina. Occhi sul campo. La telecamera indugia spesso su Ciro, lo riprende mentre urla, si sbraccia, "guida" i compagni. Soffre insieme a loro, si fa sentire quando le decisioni dell'arbitro non lo soddisfano. Poi abbraccia tutti quando arriva il gol di Felipe Anderson. Esulta, non sta mai fermo. Si scambia occhiate con i giocatori che, come lui, devono accontentarsi della panchina. Accanto c'è Radu, con cui forma una coppia "lazialissima". Entrambi non sono nati a Roma, non tifavano Lazio quand'erano piccoli. Poi l'hanno conosciuta, gli è entrata nel cuore. Ed ora, eccoli lì, nervi tesi e tanta grinta per un match che no, non sarà mai come gli altri. L'intervallo precede altri 45' di gioco, da vivere fino alla fine. Il corposo recupero di Orsato complica un po' la situazione. La Roma non si rende mai pericolosa, ma il vantaggio è solamente di un gol, può succedere di tutto. Lo sa bene Immobile, che non proferisce più parola. Non ci riesce, il fiato rimane intrappolato nel petto in un mix di preoccupazione e voglia di esultare. 

BANDIERE AL VENTO - Quel triplice fischio arriva. La Lazio vince. Orsato non fa neanche in tempo a decretare la fine della partita che l'intera squadra corre sotto la Nord. Iniziano festeggiamenti folli a suon di cori e lacrime. Bandiere al vento, sciarpe al collo. Poca voce rimasta ma l'enorme orgoglio di aver vinto il derby senza due perni della squadra, Milinkovic e Immobile. Che non serve neanche star a parlare di "peso" dell'assenza. Che non ha senso nessun paragone, perché i numeri decidono e condannano e lo fanno senza ausilio di parole. A dir la verità, però, Ciro c'è sempre stato. Era lì, a un passo dal campo. Ha sofferto e festeggiato, ha abbracciato e ringraziato. È stato leader, pur senza giocare. Un passo indietro rispetto ai compagni, ma sempre in prima fila

Pubblicato il 7/11

TORNA ALLA HOMEPAGE