Magro, rapato, senza birra: ma Gazza è fuori dal tunnel?

Dice «rehab» come una volta diceva «gol». Nel secolo scorso Paul Gascoigne fu calciatore e fenomeno. Fenomeno inglese, Jekyll & Hide, genio e sregolatezza, e tutti i cliché di chi si fa male con l'etilismo senza rete. Nemmeno come George Best, che con il Manchester United vinse in Inghilterra e in Europa, tra una ragazza da copertina e una sbronza. Gascoigne non ha vinto nulla, alla fine (due campionati scozzesi con i Rangers). Non ha vinto nemmeno veramente la FA Cup del 1991 col Tottenham, perché quando gli Spurs alzarono la coppa a Wembley lui era già in ospedale, col ginocchio destro rotto nel raptus di atterrare a freddo Gary Charles del Nottingham Forest. Non ha vinto praticamente nulla anche se conquistò per una notte l'affetto di tutti gli inglesi con le lacrime di Torino, semifinale di Italia '90.
L'emozione più grande Ammonito negli ultimi minuti per un fallo su Berthold, secondo giallo del torneo, squalifica per la finale. Il solo pensiero lo fece piangere in campo. Poco dopo piangevano tutti gli inglesi, per la vittoria della Germania Ovest ai rigori. Lui non aveva nemmeno avuto la forza di tirarne uno. Paul Gascoigne "Gazza" per i suoi compagni fin dagli esordi al Newcastle, non ha vinto praticamente nulla, nel calcio, ma ha perso moltissimo: la felicità, la ragione, e solo per poco non ha perso la vita. A 43 anni, magro e smunto, parla di «rehab», riabilitazione. Stavolta crede di avercela fatta. È reduce dal dodicesimo ricovero in un centro specializzato. Undici fallimenti, undici ricadute nell'annientamento dell'alcol senza limiti. Stavolta, dice, è già un successo: prima non aveva mai completato un solo programma di rehab. Scappava all'inizio, scappava a metà. Stavolta, invece, al Providence Project Centre fondato da Steve Spiegel a Bournemouth, ha vinto la medaglia, per aver completato tutti i tre mesi. Con tanto di cerimonia e consegna solenne. «Un'emozione incredibile. Non come una semifinale mondiale, ma una soddisfazione diversa, da brividi per la schiena».
Non più come prima «Sono stato in clinica in Arizona, per cercare di smettere con la Red Bull: ne bevevo 40 al giorno. Ero diventato anche dipendente da una medicina per la tosse dei bambini. Quando nel 2008 la polizia mi ha internato per i miei problemi mentali sono stato a The Priory, e mi hanno guarito dal disturbo ossessivo-compulsivo. Diciamo al 90%. Ma in passato andavo in "rehab" per gli altri, la mia famiglia, i miei allenatori, per i media. Stavolta l'ho fatto solo per me». «Stavolta è speciale - continua -, ma so bene che non è finita. Sono un alcolizzato in via di guarigione, ma non guarirò mai completamente. Sono eternamente in via di guarigione. Debbo pensare a mettere ordine nella mia vita». Una vita che era solo calcio: quando non giocava non sapeva come riempire il tempo. Così Gazza l'ha riempito con birra, whisky, vodka, ogni genere di cocktail. Adesso spera che la dodicesima «rehab» lo tenga lontano dalla tentazione, come non gli è mai successo prima.
I suoi anni alla Lazio Per Dino Zoff rimane «fra i più forti mai allenati». Perché Gazza, nonostante tutto nella Roma laziale ha lasciato buoni ricordi. Vita bruciata la notte nei pub, scalciando paparazzi, o nella villa di Formello fra altre sbornie e crisi di pianto. Dimensione calcistica scandita invece da gravi incidenti. L'ultimo, in allenamento contro un giovanissimo e incolpevole Nesta nell'aprile '94, ne accelera il ritorno in patria. Il suo primo gol a Roma non lo dimenticano: 29 novembre '92. Nel derby la Lazio perde 1-0 a 4' dalla fine, su cross di Signori salta più alto e segna di testa, sotto la curva nord laziale, nel cui entusiasmo si immerge. Paul scoppia a piangere, ammette che ha sentito quel derby più di una partita in nazionale. Entra nel cuore dei tifosi, ma il suo addio (maggio '95) non lascia rimpianti. Poche imprese sul campo. Fuori invece è spettacolo, come quando sparò un rutto a microfono aperto davanti una telecamera indesiderata. Un giorno, in ritiro con Zeman, inflessibile sugli orari, sollecitato da un dirigente a presentarsi puntuale a cena, scese dalla camera completamente nudo e disse col candore di un bimbo: «Mi avete detto che dovevo scendere subito». Ora il bimbo è davvero nudo. E solo.