Giornalista iconico e Laziale nel dna: addio Giampiero

13.11.2021 06:55 di  Marco Valerio Bava  Twitter:    vedi letture
Fonte: MarcoValerio Bava-Lalaziosiamonoi.it
Giornalista iconico e Laziale nel dna: addio Giampiero

Giampiero Galeazzi se n’è andato, in silenzio, in controtendenza rispetto a una vita fatta di incursioni, interviste, telecronache rimaste nella memoria di ogni sportivo. Se n’è andato presto, a 75 anni, logorato da una lunga malattia. Lasciando dietro di sé una profonda sensazione di vuoto. Già, perché Galeazzi non era solo un giornalista, ma era diventato forse il primo grande showman legato allo sport, pioniere di un modo di raccontare certi momenti abbinando leggerezza e profondità, epica e commedia. Capace di far crollare i pudori e i veli degli atleti, di renderli umani, comunemente mortali. Una dote unica, davvero inimitabile. Giampiero s'era preso il ruolo di inviato di punta, ma sapeva fare davvero ogni cosa e la faceva bene, sapeva raccontare e intrattenere, accompagnare e commuovere nel racconto di un evento, di una pagina di sport sulla quale lui, in un modo o nell'altro, avrebbe messo la propria peculiare firma: le telecronache di tennis e canottaggio, il leggendario racconto degli ori di Seul, le interviste a bordocampo o in tribuna ai protagonisti di un calcio magnifico e avvolto ormai dalle nebbie del tempo. Chi fa questo mestiere, per Giampiero Galeazzi non può che provare ammirazione e sana invidia. Vedere e ascoltare oggi quelle interviste, anche a partita in corso, ad allenatori come Trapattoni o De Sisti, a campioni come Maradona, Rumenigge, Platini, Gullit, Chinaglia, Di Bartolomei, non può che far scattare un sentimento del genere perché opportunità simili le poteva avere solo lui, così istrionico, totale, nato al momento giusto, capace di farsi trovare al posto giusto: una qualità molto romana.

Romanità e Lazialità, in lui, andavano di pari passo. Del romano aveva il sarcasmo pungente e un certo cinismo, ma anche l’ironia bonaria e la vena romantica. Del Laziale aveva la determinazione di voler raggiungere l’obiettivo, l’eleganza nel sapersi porre anche nei momenti più concitati, l’idealismo e la sportività. Valori fondanti della Polisportiva. Iconico resta il racconto dello Scudetto del 2000, quando capì che la notizia non era al “Centrale del Tennis” dove si stavano svolgendo gli internazionali d’Italia, ma qualche centinaio di metri più in là, dove la sua Lazio stava per coronare un’attesa lunga 26 anni, conquistando un tricolore insperato e leggendario. E anche quei minuti, ripresi dalle telecamere della Rai, rimangono nella storia: il microfono che si accosta alla radiolina per amplificare la voce di Riccardo Cucchi che, da Perugia, scandisce: “Sono le 18.04 del 14 maggio del 2000, la Lazio è Campione d’Italia”; la gag con il sacerdote e quella “strofinata” al crocifisso che “non è superstizione, però lo tocchiamo” e l’ingresso in Curva Nord, accolto dal boato dei tifosi un tripudio. Sudato, emozionato, quasi faticava a parlare Giampiero nel contrasto tra il caldo di un pomeriggio romano di primavera e il fresco umido che da Perugia arrivava via radio. Contrasti e racconti, sfumature e ricordi. Giampiero Galeazzi ci lascia, ma non non potrà mai andare via.

Pubblicato il 12/11