GARBAGE TIME - Cesar Gomez, l'anti Ronaldo (mal)consigliato da...Casiraghi

L’importanza dei dettagli. Il calciomercato è un orologio da taschino, si basa su tanti piccoli elementi di un complesso ingranaggio. Salta una rotellina, l’apparecchio non segue il suo naturale corso. Pierluigi Casiraghi proprio non riesce a ricordare quel nome. Il boemo lo chiama, la sua memoria difetta, quel nome giace sulla punta della lingua. E’ appena passato dall’altra sponda del Tevere, Sensi gli ha costruito un’ottima squadra, ma serve un centrale di livello. Cannavaro è il sogno, ma il Parma lo valuta 110 miliardi, il boemo pensa a quel centrale possente del Tenerife, che la scorsa stagione ha buttato fuori la sua Lazio in Coppa Uefa. Crisi reminiscenziali: “Mister mi pare avesse un nome spagnolo..finiva con la zeta”. Dalla memoria offuscata di Casiraghi compare un indizio, ma non basterà.
SCAMBI DI PERSONA – Come nel gioco di Gerry Scotti, Gigi stringe il campo delle possibilità a due opzioni. Pablo Paz e Cesar Gomez. La Roma, triste destino, opta per il secondo, il “senno del poi” non ci consente di immaginare cosa sarebbe successo se fosse arrivato il primo. Estate alle Canarie. La coppia Bronzetti-Perinetti dunque sbarca sulla Isla Magica e stacca un assegno di 6 miliardi di lire. Cesar Gomez è un centrale possente che all’occorrenza può giostrare sull’esterno, discretamente rapido, con “la grinta di Vogts (Heynckens dixit) e anche tecnico. Si narra che ai tempi della juniores spagnola avesse sostituito Luis Enrique come esterno d’attacco. In quell’era di Paperoni e spendaccioni, il nostro eroe si becca 1.6 miliardi di lire a stagione per quattro anni: “Avevo sì sognato di essere preso da una grande squadra, quello che non avevo osato immaginare è l’aspetto economico del contratto”. L’addio all’amato Tenerife tocca le corde sensibili della sua anima, pianti a profusione, finchè non sente il profumo del primo assegno. Sorride sornione Cesaretto. Il conto in banca idem. Si presenta a Trigoria con camicia sgargiante e pantalone alla Travolta. Personaggio da film di Almodovar, il suo santone. Si vanta di aver neutralizzato Ronaldo con naturalezza. Il boemo fuma nervoso, un po’ meno sorridente. Capisce ben presto che il suo uomo non era quello, che era stato un vero azzardo fidarsi della memoria di Casiraghi, laziale DOC.
DISASTRO DERBY – Il boemo lo pone immediatamente nel fondo del barattolo dei difensori a disposizione. L’esordio in un Roma-Napolo 6-2, in un perfetto affresco di garbage time, cinque minuti. Replica contro la Fiorentina, tre minuti. Poi il giorno funesto, cala la mannaia del malocchio sui giallorossi. 1 novembre 1997. Derby amarcord per Zeman, la sua macchina da gol perde tutto il paraurti. Non ci sono difensori: gioca Servidei, il craque del Lecce, al suo fianco l’isolano Cesaretto, catapultato sul palcoscenico più importante. Dopo 7 minuti Favalli si fa espellere, Jugovic scala terzino, il tavolo è ben apparecchiato per il boemo. Secondo tempo: Mancini, Casiraghi, Nedved, l’Aquila vola. Gigi incrocia quel difensore con la Z. No, non poteva essere lui lo stesso che lo aveva annullato a Tenerife. La Roma quell’anno perderà 4 derby su 4 e Cesar Gomez viene riposto nella teca. Una punizione? No, una terribile sentenza.
AUTOSALONI – “Coloro che credono che col denaro si possa fare ogni cosa, sono indubbiamente disposti a fare ogni cosa per il denaro” – questa massima francese ottocentesca sulla vita esemplifica il concetto. Per Sensi non è un giocatore da Roma e si arrabbia con Zeman per l’errore, il boemo lo isola, stesso discorso poi ripreso da Capello. Cesaretto è apparentemente disperato, dichiara più volte di amare la Roma e i suoi tifosi ma vorrebbe contribuire al successo della squadra. La sua esperienza si limita a qualche allenamento, cene di pesce a Fiumicino e il caffettino con gli amici in Tribuna d’Onore, commentando il fatto che il boemo gli preferisce Servidei, il nuovo Aldair. Cesar Gomez è lento e macchinoso in campo, ma rapido con il cervello. Il suo spirito imprenditoriale doppia lo spirito calcistico, decide di investire parte del suo lauto compenso per un autosalone in zona Eur. Mai scelta sarà più felice: si piantona nella Capitale, si mette in tasca un bel gruzzoletto e ha la fortuna di allenarsi con giocatori come Totti e Batistuta, ci si può accontentare. “Non riesco a dire che le cose vanno male: penso a mio fratello, che a Madrid lavora 16 ore al giorno per pagare la sua casa e mi convinco che per me la lamentela e' vietata”. Giusto appunto, un uomo di sani principi etici. Sensi vuole rescindere il contratto, ma nulla. In uno degli ultimi allenamenti un tifoso dietro la rete lo avvicina a Trigoria, ha il block notes in mano, vuole la sigla del suo campione su quel foglietto. Lo spagnolo è gonfio d’orgoglio, in fondo in fondo questa città lo ama, deve per forza essere qualcosa di reciproco. “A Cesaretto, viè qua che te faccio un autografo!”. Quella battuta lo toccherà nell’animo più delle quattro stagioni di tribuna. Un sogno si è spezzato. Si ritira dal calcio quell’anno, un romantico d’altri tempi, un amore non corrisposto. Storie ordinarie di slinding doors e memorie fallaci.
Ps: di seguito un coro molto in voga dei tifosi giallorossi sulla fine dei Novanta. Riportiamo solo la prima parte, il resto è una lunga serie di censure. Dedicato a Gianni Guigou, indimenticato talento: “E adesso non ci sei che tu Gianni Guigouuu, Gianni Guigouuuu che stai giocando in questa Roma miaaaa...Ed io che cosa mai darei, se giochi come Servidei, o peggio ancora Cesar Gooooooomeeeeeez”.