Lazio, Cataldi a vita: il sogno di quel bambino riflesso nello specchio

La terra che si alza a ogni scatto, che ricopre il volto e riempie la bocca dopo ogni affannoso respiro, le ginocchia sbucciate per le troppe scivolate, gli scarpini con la punta rotta già dopo i primi tiri. Un terreno duro come la roccia con il sole e subito fangoso dopo le prime gocce di pioggia. Ma, soprattutto, una voglia matta di giocare a calcio e, sognare, magari un giorno, di diventare una bandiera della Lazio. In quello specchio Danilo vede il suo riflesso, vede quel bambino che nel 2006 lasciò l'Ottavia per iniziare a dare vita a quella strada lunga e tortuosa, che lo ha portato fino a oggi. Aveva dodici anni, troppo presto per capire se la sua vita sarebbe stata quella, ma allo stesso tempo tanti, troppi motivi per provare a percorrere quel percorso fino alla fine. D'altronde, il talento c'era e raggiunse il suo apice quella notte del 9 giugno 2013, quando con due gol portò la Lazio Primavera, sul tetto d'Italia. Lui che era simbolo e leader di quella squadra, sognatore a occhi aperti.
DALLA SERIE B ALLA CONSACRAZIONE - Si trasferisce in prestito a Crotone, dove fu mister Drago a notarne fin da subito le qualità, consegnandogli le chiavi del centrocampo e rendendolo protagonista di una grande stagione. Tutto girava per il verso giusto. Danilo torna a Roma, sulla panchina della Lazio arriva Stefano Pioli che, fin da subito, gli offre la possibilità di entrare a far parte della squadra. Nessun nuovo prestito, subito con i grandi, subito la chance di poter dimostrare al nuovo allenatore che le carte in regola ci sono tutte. Serve però tempo, la strada è lunga e quella Lazio sembra andare troppo forte, forse anche per lui, per lo meno all'apparenza. E' il 14 gennaio del 2015 che inizia la storia di Danilo Cataldi. All'Olimpico si gioca Torino-Lazio di Coppa Italia e in campo, dal 1', scende un ragazzo con la 32 sulle spalle. E' il grande giorno ed è grande la sua risposta. In campo si vede la fame dell'esordiente, la voglia di prendere in mano il proprio destino. Quel ragazzo corre, lotta e serve, a una leggenda come Klose, il suo primo assist tra i grandi. Si guadagna la fiducia di tutti: dell'allenatore che non rinuncerà più a lui e della squadra che, il 9 marzo del 2015, gli regala il sogno di diventare, anche se pochi minuti, capitano della Lazio.
LE DIFFICOLTA' E LA RINASCITA- Tutto sembra in discesa, ma così non è. Il 2016 si rivela un anno complicato: la pressione su quel giovane ragazzo è troppa, Cataldi non riesce a reggerla e rischia troppe volte di crollare. Il gol in Coppa Italia contro l'Udinese, quello in campionato contro il Chievo sono solo alcune delle poche gioie di quella stagione. La Lazio, a fine anno, passa in mano a Inzaghi e tra i due non nasce l'amore che si sperava. Arrivano i prestiti. Il primo negativo al Genoa, dove scaturisce la polemica per l'esultanza alla rete di Pandev e l'accusa di aver tradito i colori che ama. Poi quello a Benevento, le scuse dopo il gol e una nuova consacrazione. Cataldi torna a Roma da uomo, ha in testa come obiettivo di (ri)prendere in mano la Lazio, trasforma la sua carriera in una parabola, come quella di un pallone che calciato, in una notte di Ryadh, va lentamente a infilarsi sotto all'incrocio. Sogna una notte così, come quella del 9 giugno in cui lui è protagonista e regala alla sua Lazio, quella dei grandi, uno storico trofeo. Ma la sua non è una carriera qualunque e anche dopo aver ritrovato la gioia, anche dopo aver sognato uno storico Scudetto, il nuovo crollo è dietro l'angolo. Lavora, suda, lotta, ma viene spedito nel dimenticatoio. Si parla di cessione, sacrificio, addio. Tutto è buio, tutto sembra essere scritto. Il rapporto con Inzaghi va a corrente alternata
2027 - Serve una rivoluzione e in mezzo a quell'oscurità si intravede una luce, un piccolo bagliore di speranza, la fiamma di una sigaretta che fa ardere i sogni del bambino. E' Maurizio Sarri a rimetterlo al centro del progetto, gli insegna i ferri del mestiere, lo plasma a sua immagine e somiglianza, riaccende i sentimenti di quel ragazzo che, in quella notte di Torino, in campo aveva portato tutti noi. Nella prima stagione si alterna con Leiva, ruba con gli occhi e studia da chi ha scritto la storia di quel ruolo, di questo sport. Sarri lo prepara a raccogliere l'eredità del brasiliano, finalmente può realizzare il suo sogno. Quel ragazzo ora è padre: ha capito come reggere quell'insopportabile pressione. E' diventato simbolo di lazialità. Ma è solo il 6 novembre del 2022, sotto la Curva Nord, dopo il primo derby (vinto) da capitano che finalmente si lascia andare a quel pianto liberatorio con cui scaccia via tutte le difficoltà, avvolto nell'abbraccio dal suo popolo. Nei suoi occhi brillano lacrime di gioia, si sente parte del tutto, arriva dritto al cuore l'amore incondizionato della sua gente. Danilo ora guarda in quello specchio, rivede quelle immagini e sorride. Al suo fianco c'è una sciarpa, come quelle che indossava allo stadio da bambino, e sopra una scritta che recita: "S.S. Lazio to 2027". E sopra una scritta che recita: "Lazio a vita!".