ESCLUSIVA - Nevio Scala: "Il Parma sta peggio, ma rischia di più la Lazio. Magari avessi allenato i biancocelesti!"

05.12.2014 11:30 di  Lalaziosiamonoi Redazione   vedi letture
Fonte: Cristiano Di Silvio-Lalaziosiamonoi.it
ESCLUSIVA - Nevio Scala: "Il Parma sta peggio, ma rischia di più la Lazio. Magari avessi allenato i biancocelesti!"

Tempi magri, questi, per il calcio di casa nostra. Lo dicono tutti, dall’editorialista più quotato al portinaio sotto casa. Dargli torto, è assai arduo, in verità. Non bastasse l’aver perso un posto Champions, mai lasciato tracce importanti in Europa League, bruciato due tecnici nazionali nell’arco di quattro anni, quello che più colpisce, oltre alla difficoltà di lanciare veri fenomeni dai nostri vivai (se pensiamo che l’ultimo, conclamato, è Antonio Cassano), è il simultaneo ridimensionamento della qualità de tecnici nostrani. Fatta eccezione per il “ciclone Conte”, la curiosità che ha scatenato il fresco ritorno del Mancio, lasciata aperta una linea di credito per il redivivo Allegri, beh, se si guarda con attenzione, grandi talenti tricolori non paiono sgomitare, all’orizzonte. Pioli, Montella, belle speranze da cementare, qualche rivelazione (Di Francesco), qualche ritorno (Gasperini): manca però il fuoriclasse, che magari esce alla lunga e si prende titoloni e coppe varie. Uno che fondi il suo credo su pochi ma preziosi, quanto armonici, pilastri: unità, allegria, sacrificio e disponibilità. Meno ripetute e più chiacchierate, per capirci. E ce n’erano, da queste parti, di tipi così. Ve ne abbiamo raccontati parecchi, da queste colonne. Bagnoli, Fascetti, Corso; uomini, come si suol dire, “tutti di un pezzo”, chi più chi meno “sergente di ferro” o “amico dei giocatori”. Non a caso, quasi tutti appartengono al calcio degli “anta”, dove la cultura del lavoro la faceva da padrona, senza tribali o creste ribelli. E mettendo insieme tutti i tasselli del mosaico, c’è un tecnico che negli “anta” ha spadroneggiato, divertito, ma soprattutto ha vinto, e tanto. Dalla periferia di una cittadina fino ad allora famosa per il suo prosciutto (che male non’è) ai viali imponenti che conducono a Wembley; portatelo voi il Parma a vincere la Coppa delle Coppe, con Minotti Lorenzo da Cesena a segnare nella stessa porta di Hurst Geoff da Ashton, quel Hurst del “gol fantasma” dei Mondiali ’66. 12 Maggio 1993, con il gialloblù che tracima nelle vie e nelle piazze della Big Smoke: la Coppa delle Coppe la vince il Parma di Nevio Scala, da Lozzo Atestino. Che poi, il physique du rôle dell’ispettore londinese, Nevio Scala, ce l’ha, eccome se ce l’ha. Faccia da pugile, sembrava uscito da una sceneggiatura di Guy Ritchie, trench e voce roca, leggeva il calcio come dovrebbe essere: rigore, sacrificio ma anche allegria e voglia di stare insieme. Se poi la squadra ti segue, vinci tutto, o quasi tutto. In esclusiva per i propri lettori, la redazione de Lalaziosiamonoi.it è entrata nella giornata del tecnico più vincente della storia del Parma, per avvicinarsi al prossimo match che attende Pioli & Co., guidati dall’esperienza e dalla profonda conoscenza del tecnico padovano.

Mister, tra Lazio e Parma, al netto della imparagonabile classifica, chi sta peggio e chi meglio? Chi rischia di più tra le due formazioni dal confronto del Tardini?

“Senza dubbio è il Parma a stare peggio ma, paradossalmente, a rischiare di più è la Lazio. Mi spiego: non c’è dubbio che gli emiliani oltre alla pessima classifica e alla mancanza di risultati, vivano una crisi data dalla poca serenità e tranquillità dell’ambiente che li circonda. Questa pare essere una di quelle stagioni in cui nulla ti riesce, e domenica dopo domenica rischi seriamente di perdere la fiducia nei tuoi mezzi, con la classifica che non aspetta. Ciò però non significa che il Parma si sia arreso o che domenica non venderà cara la pelle; tutt’altro. Significa che la Lazio dovrà fare una partita perfetta per uscire indenne dalla tana di Donadoni e compagnia. La Lazio deve inseguire i suoi obiettivi europei, un altro passo falso la proietterebbe lontana dall’Europa che conta. Il Parma non ha nulla da perdere, invece. Per questo dico che, a bocce ferme, la partita è più delicata per i romani”.

Per amor di verità, neanche la Lazio è poi così tranquilla: la sfuriata di Lotito dopo il Chievo, gli improvvisi “mal di pancia” di Klose, le “gaffe” che i giovani aggregati alla prima squadra ciclicamente pare non si risparmino. Che lavoro deve fare un tecnico in questo caso, per evitare che il tutto gli sfugga di mano?  

“Non le nascondo che il compito di Stefano (lo chiama per nome, ndr) è, oggigiorno, molto difficile e delicato, un equilibrato lavoro di diplomazia ma anche di fermezza, allo stesso tempo. Per esperienza le dico che quando cominciano a sentirsi questi piccoli scricchiolii, qualcosa non funziona come dovrebbe. Nulla di che, badi bene, ma il tecnico deve subito intervenire, tastare il polso della situazione e cercare, facendosi aiutare anche dalla società, di venirne prontamente a capo. Va da sé che i risultati aiutano a cementare uno spogliatoio, rappresentano la vera benzina nel motore di una squadra. Ma la squadra stessa, il gruppo cioè, si fonda sul rispetto reciproco, sulla tolleranza delle scelte e delle diverse posizioni, sull’allegria che questo sport contiene in sé. Se manca uno di questi ingredienti la torta non sempre riesce”.

Venendo agli avversari della Lazio: lei se l’aspettava una stagione così complicata come quella che sta vivendo la società emiliana, addirittura con l’ultimo posto in completa solitudine e una salvezza che ad oggi appare difficile da raggiungere? C’è qualcosa che ci sfugge?

“Sono d’accordo con lei, c’è qualcosa che sfugge ai più, ma non saprei dirle cosa. Difficile pensare ad una stagione così tormentata nei giorni della qualificazione all’Europa League dello scorso torneo, al netto delle vicissitudini che poi negarono la competizione alla squadra di Ghirardi (parametri Uefa disattesi: Irpef pagata in notevole ritardo, ndr). È pur vero che anche le cessioni sono state tante e pesanti per l’economia della squadra, ma non mi sarei aspettato un tracollo come quello che sta vivendo la formazione gialloblù. Secondo il mio parere, la rosa per tirarsi fuori dalle secche ce l’ha. Sulla forza d’animo non sono altrettanto sicuro”.

Allargando lo sguardo e venendo ai giorni nostri: c’è, nel nostro campionato, un allenatore che, osservandolo nel suo lavoro, le ricorda lei a bordo campo?

“In verità, non sta a me paragonarmi o identificarmi negli altri allenatori. Questo è un compito che dovrebbe spettare a voi giornalisti. A suo tempo, a me non piaceva paragonarmi o copiare qualcun altro; ho sempre cercato di tirare fuori il massimo dal mio lavoro, dalle mie idee e dalle mie convinzioni. Se però, per stare alla sua domanda, dovessi essere paragonato ad un tecnico in circolazione, mi piacerebbe essere accostato a Vincenzo Montella, tecnico e uomo corretto ed equilibrato, mai sopra le righe e sempre appropriato nei commenti e nei giudizi. Gioca un calcio che mi piace molto, innovativo e senza fronzoli, che si sposa con la filosofia che avevamo anche al Parma nel mio periodo: spirito di sacrificio e allegria. I risultati lo dimostrano o lo faranno presto; attenzione ai viola, stanno ritornando”.

Mai stato vicino alla Lazio?

“Mai, peccato davvero (ride, ndr)! Sarebbe stata per me una vera e propria fortuna (testuale, ndr); sarebbe stato un grande risultato, una piazza come Roma, la Lazio. Al contrario, son stato un paio di volte vicino alla Roma, ma poi non se n’è fatto mai nulla. Ho lavorato e mi sono divertito nel fare questo mestiere, sempre con la consapevolezza che non fosse la mia vita, bensì il mio lavoro, appunto. Ho dato molto al calcio, e lui mi ha ripagato. Non ero bravo a propormi, e non lo sarei ancora oggi. Di questi tempi, invece, anche il calcio è diventato sempre più 'per conoscenza', per giri di amicizie. Io ho sempre fatto riferimento al mio lavoro. E mi è sempre bastato”.

Infine, l’ultima, una vera curiosità: come era allenare Gianfranco Zola?

“Semplicissimo. Un grandissimo calciatore, un uomo straordinario. Fino a quando siamo stati insieme, ha goduto della mia totale fiducia. Quando le nostre strade si sono separate, il rapporto con i miei successori non è stato così ottimale. Ha dovuto lasciare l’Italia per ritrovare quella incondizionata stima che il suo talento meritava. E ne aveva così tanto da diventare baronetto”.