Calcio, alcol e droga: la favola senza lieto fine di Maurizio Schillaci

(REPUBBLICA.IT) - Il bambino tira un calcio al pallone e l'uomo con il codino e il volto scavato dalle rughe improvvisa un paio di palleggi mentre fuma una sigaretta. "Tu sei Schillaci, quello della Nazionale?", gli chiede il piccolo. "No, quello è mio cugino Totò, io sono Maurizio, il più scarso...". Una bugia, perché Maurizio Schillaci trent'anni fa era un talento purissimo, uno capace di segnare 30 gol in due stagioni con la maglia del Licata di Zeman, tanto bravo da approdare in serie A con la Lazio, soffiato da Fascetti al Foggia di Casillo. "In famiglia lo dicevamo sempre - racconta Totò, l'uomo delle "notte magiche" - io me la cavavo, ma Maurizio era un fuoriclasse". E il maestro Zeman conferma: "Un grande talento, tecnicamente un fenomeno. Per mezzi, colpi e intelligenza calcistica avrebbe potuto giocare in una big senza difficoltà, e farlo a grandi livelli. È sempre stato un generoso, per questo i compagni gli volevano bene. E lui aiutava tutti". La vita però gli ha voltato le spalle proprio quando sembrava aver sfondato: un infortunio, le prime "piste" di cocaina con gli amici, la galera, l'eroina e l'abisso più nero. Il divorzio, le figlie che non vede da anni, tutto il denaro guadagnato durante gli anni di gloria sperperato tra alcol e cattive amicizie. Oggi Maurizio Schillaci ha 52 anni, è un barbone che chiede l'elemosina alla Stazione centrale di Palermo, dorme in un treno abbandonato e non ha più sogni. Lo hanno scovato due giovani registi siciliani, Davide Vitore e Domenico Rizzo, che sulla sua storia hanno realizzato il docu-film Fuorigioco , che sarà presentato questa sera al Centro sperimentale di cinematografia dei Cantieri Culturali alla Zisa. Una favola senza lieto fine con un unico protagonista, Maurizio, impietosa voce narrante nei meandri di una città che sembra averlo dimenticato. "Alla Lazio avevo tutto: soldi, ville, lusso. Poi quel maledetto infortunio, una lesione al legamento che i medici scambiarono per stiramento. Dicevano che ero un debole, che avevo paura di farmi male e tiravo indietro la gamba. Invece soffrivo davvero. E mi abbandonarono. Mi lasciai andare, una volta mi sono iniettato un grammo di cocaina in vena e stavo per morire. Adesso con la droga ho chiuso, prendo il metadone e cerco un lavoro". Suo cugino aveva tentato di aiutarlo: "Allenavo nella sua scuola calcio, ma i genitori non gradivano che un ex tossico circolasse intorno ai loro bambini. Forse Totò doveva difendermi un po' di più, ma è andata così e non gli porto rancore. Preferisco cavarmela da solo, i miei unici amici sono i barboni della stazione con cui divido un pezzo di pane e un letto". Maurizio cammina per le strade buie e diroccate del centro storico di Palermo e confessa di sentirsi ancora giovane, soprattutto utile: "Ho 52 anni ma penso sempre di essere ancora un ragazzo, quel ragazzo di 20 anni che voleva spaccare il mondo inseguendo un pallone. Ho sbagliato tante volte, sono stato sfortunato ma datemi un'altra occasione. La vita si è accanita contro di me, credo di meritarla... ".