Lazio, Talamonti: "Contento per Inzaghi, oggi ha una grandissima squadra"

Due anni fa l’ultima esperienza alla Platense, oggi una nuova vita nella ferramenta di famiglia. Leonardo Talamonti è partito da Álvarez, provincia di Rosario, costruendo la sua carriera nel Rosario Central e conquistando una chiamata in Italia dalla Lazio con cui ha vissuto una breve parentesi prima del passaggio all’Atalanta e il ritorno in Argentina. “Due anni e mezzo fa ho deciso di chiudere la mia carriera da calciatore. Da qualche anno avevo una ferramenta di famiglia e ho scelto di prenderla tra le mani. Sono tornato a casa mia in Argentina, lavoro in ufficio e a contatto con la gente. Faccio di tutto. Anche mia moglie è in ufficio, mio padre guida il furgone e trasporta la merce da una parte all’altra. Insieme a noi lavorano anche due operai”, racconta a il Posticipo. La passione per il calcio è rimasta: “Abito ad Alvarez a 25 chilometri da Rosario, il paesino ha 9000 abitanti. Avevo ben chiaro che cosa fare. Quando ho smesso di giocare sono tornato a casa ad Alvarez dove sono nato insieme alla mia famiglia. Ho tutto in questo paesino: anche una casa. Non mi piacciono le grandi città, per questa ragione mi sono trovato molto bene a Bergamo quando giocavo. Nel mio paesino ci sono due club. Io do una mano all’Union de Alvarez. Non voglio essere pagato, lo faccio per passione. Ho giocato con loro da piccolo fino ai miei 15 anni, quando sono andato nella Primavera del Rosario Central e poi ho esordito in prima squadra. Sono molto legato a questo club: alleno gli Allievi e do una mano alla dirigenza. Per me ogni giorno dovrebbe durare 38 ore…”.
IL CALCIO DI OGGI – Il calcio professionistico, più corrotto, preferisce invece tenerlo lontano: “Non mi piace la gente che gira intorno al calcio: procuratori, dirigenti e calciatori. Non mi piace l’ambiente, non mi è mai piaciuto. Ho pochi amici nel calcio. I dirigenti continuano a chiamarmi, ma io sono stato sincero con loro e gli ho detto che non volevo più farne parte. Voglio fare calcio a livello amatoriale. Non escludo tra qualche anno la possibilità di allenare una squadra giovanile del Rosario, in questo momento però non voglio farlo. Il calcio di oggi è peggiorato rispetto a quello che praticavo io”. Talamonti è sempre stato l’antidivo per eccellenza: “A Bergamo mi definivano così. Non mi piace la fama, sono una persona molto timida. Mi vergogno di tante cose, quando mi fermano per strada per firmare un autografo mi imbarazzo. Da ragazzo stavo molto a casa, uscivo poco. L’ho fatto un po’ con mia moglie: quando eravamo a Bergamo, andavamo fuori a cena a Milano tantissime volte però da soli. Sono diverso dagli altri calciatori”.
IL LEGAME CON L’ITALIA - “Io sono cresciuto con mio nonno. Mio padre mi diceva sempre che i nostri parenti erano originari della provincia di Ascoli Piceno precisamente di Ripatransone, un paesino in una zona collinare. A casa nostra si parlava italiano. Mia nonna faceva Capriotti di cognome, mio padre Talamonti, in famiglia c’erano i Lanciotti: erano tutti italiani originari della stessa zona tra Ascoli e Ancona. Quando sono arrivato in Italia alla Lazio sono andato a Ripatransone per vedere dove era nato il mio bisnonno che si era trasferito in Argentina. Ho portato mio padre per fargli conoscere le nostre origini. Sono stato sempre molto legato all’Italia, ho avuto sempre una grande passione per il vostro Paese”.
IL RAPPORTO COI PROCURATORI – Italia conosciuta per la prima volta nel 2004 grazie ai biancocelesti: “Il modo in cui sono andato via dall’Argentina mi ha segnato: è una delle ragioni per cui il calcio non mi piace. Nel mio Paese un procuratore poteva acquistare il cartellino di un calciatore insieme ad altri suoi collaboratori formando un gruppo di impresari. Mi hanno portato alla Lazio in prestito. Finito il mio contratto, io ho parlato col presidente Lotito per discutere il rinnovo: lui mi avrebbe fatto un contratto di 3 anni se avessi lasciato quei procuratori, ma non ho potuto farlo. Questo gruppo mi ha portato al River Plate che ha preso la metà del cartellino. Dopo una stagione sono passato all’Atalanta con questa gente alle spalle, fino a quando la Dea non mi ha acquistato. Mi faceva male perché non era una situazione normale. L’unica cosa che gli importava era fare affari, non gli importava niente del calciatore Talamonti. Ringrazio sempre l’Atalanta per avermi acquistato. Il primo anno sono arrivato in prestito, ho giocato tanto e ho fatto molto bene. Ringrazierò sempre la famiglia Ruggeri per avermi preso: si è comportata molto bene nei miei confronti”.
CAPITOLO LAZIO – L’unico gol con la maglia dell’Atalanta lo firmò proprio contro la Lazio: “Ho fatto gol ma non ho esultato per rispetto nei confronti della tifoseria e di tutta la gente che ruota attorno alla Lazio che si è comportata bene con me. La tifoseria si è comportata sempre bene con me”. Talamonti conosce bene Inzaghi: “La Lazio di oggi è una grandissima squadra. Simone è stato sempre molto simpatico con me dal primo giorno in cui sono arrivato a Roma: lui, Angelo Peruzzi e Fernando Couto sono stati da subito molto gentili con me. Anche Paolo Di Canio lo è stato. Dopo la stagione alla Lazio, io e Simone ci siamo ritrovati all’Atalanta: avevamo un grandissimo rapporto. Sono contento che stia facendo bene perché se lo merita. Non mi immaginavo che sarebbe diventato un allenatore così, pensavo che avrebbe fatto qualcosa in coppia con suo fratello Pippo. Simone però parlava sempre di calcio. Quando eravamo in ritiro all’Atalanta lo facevamo sempre tutti insieme: all’epoca c’erano Cristiano Doni e anche Vieri. Io ero più piccolo di loro e ascoltavo”. I biancocelesti sono cresciuti da quei giorni: “Lazio e Atalanta sono molto vicine alla Juventus che è un passo avanti rispetto a tutte le altre squadre”.