Fenomenologia del calcio cafeteros: dalle pistole di Asprilla ai muscoli d'acciaio del Coco Perea

pubblicato ieri alle ore 22.10
06.02.2013 08:52 di  Davide Capogrossi  Twitter:    vedi letture
Fonte: Davide Capogrossi - Lalaziosiamonoi.it
Fenomenologia del calcio cafeteros: dalle pistole di Asprilla ai muscoli d'acciaio del Coco Perea

Caschi di capelli ricci e treccine, sparatorie e goleada, Ray-Ban a goccia e cocaina. Genio e sregolatezza del calcio colombiano, o almeno quel che è rimasto dei baffetti di Leonel Alvarez e delle tute kitsch di Higuita, del sorriso sornione di Asprilla e del pancione di Valenciano. Oggi il calcio dei cafeteros è stato miscelato con i principi europei: tecnica ed estro mixati con potenza e rigore tattico. Evoluzione del calcio colombiano, dai pupilli fuera de cabeza di Pablo Escobar al modelli creati al pc, Fredy Guarin e Radamel Falcao, fino ai ragazzini terribili di Carlos Restrepo. Terribili in campo, ma non fuori, vittoriosi a sorpresa nel Sub-20. +Global –Locos.

I TERRIBILI DI MATURANA – Il 5 settembre 1993 un gruppo di ragazzotti nati nei barrios più poveri della Colombia salì alla ribalta. L’Argentina in tutta la sua storia non aveva mai perso una partita di qualificazione al Mondiale. I cafeteros entrano baldanzosi a Buenos Aires e rifilano una cinquina letale a tale Diego Armando Maradona, che a fine partita applaudì il trionfo dei ragazzi terribili di Maturana. Una collezione di figurine variopinte, i People rivisitati nel rettangolo verde da gioco. Renè Higuita, professione portiere dribblava gli avversari (clamoroso il tentativo mancato ai danni del camerunense Milla), saliva palla al piede sino al centrocampo, calciava le punizioni e parava in maniera pittoresca. Nel 1994 non era presente, in carcere poiché fece da mediatore in un sequestro senza avvisare la polizia. Ha partecipato a reality, candidato a sindaco, Una specie di Lionel Richie con il vizietto della mota e delle giocate ad alto tasso adrenalinico. Carlos Valderrama era decisamente più pacato, forse il più pacato, ancor meglio l’unico pacato del gruppo. Casco di riccioli d’oro, regista tremendamente lento ma dall’assist facile capace di mandare a rete chiunque. Figlio di un professore di matematica, dalla quale aveva ereditato la linearità scientifica del dribbling sistematico, dissero di lui che aveva i piedi storti che gli consentivano di nascondere abilmente la palla. Mito negli Usa. Freddy Rincon era un’ala imprendibile, istrionica, con il vizio del gol. Passato per Napoli e – con meno successo – a Madrid sponda Real, indagato per riciclaggio di denaro sporco proveniente dal mercato del narcotraffico. Faustino  Speedy Asprilla era celebre per la sue capriole, eroe a Parma, talento tremendamente sprecato. Armi e donne le sue passioni: sparava al campo di allenamento per spronare i compagni e faceva incetta di flirt. Talento con i piedi e non solo. Leonel Alvarez, personaggio da soap opera, dirigeva sapientemente le operazioni dinanzi alla difesa. Lo spilungone Lozano, il brazileiro Aristizabal, il folto baffo di Valencia. Possesso palla in orizzontale, ritmi soporiferi poi verticalizzazioni per i velocisti d’attacco. Fino all’autogol di Andrès Escobar, ucciso in Colombia. Le dodici pallottole esplose a Medellin segnarono la fine di quel gruppo leggendario, istrionico, irricostituibile. I ragazzi di Maturana, i ragazzi del boss Pablo Escobar.

COLOMBIA IMPORT L’ascesa (e caduta) della leggenda dei cafeteros ha provocato l’esplosione della moda del made in Colombia. Le magie di Asprilla e compagni fecero dimenticare i primi esperimenti pioneristici, come i movimenti sgraziati di Ivan Renè El Gordo Valenciano nell’Atalanta di Lippi. In Italia approdarono diversi calciatori colombiani, alcuni talenti veri, che riuscirono più o meno a “regolarizzarsi” nel calcio italiano che non tollerava pistole e rum. L’annata di classe e follia di Rincon a Napoli, l’amore e la disperazione di Nevio Scala per Tino Asprilla, le amnesie offensive di Adolfo Valencia alla Reggiana. Loro erano gli eroi della Colombia di Maturana, in Italia ebbero fortuna alterna. Miguel Guerrero a Bari era amato dai tifosi ma non centrava la porta con facilità. Montano non ha dato seguito alle premesse da craque. Poi pian piano la normalizzazione, l’europeizzazione dei cafeteros. Approdarono anche i primi difensori, affidabili e ben impostati: Cordoba, poi Zapata, Yepes. Oggi in Italia sono gli esterni ad andar forte. Armero, Cuadrado, ma anche un attaccante di sicuro avvenire come Luis Muriel (Pabon ha incontrato maggiori difficoltà) e l’estro del pescarese Quintero. Niente caschi di capelli e vestiti stravaganti. Giocatori più impostati tatticamente, meno sregolati, miscele esplosive di atletismo, tecnica e mentalità. L’interista Guarin è l’emblema del colombiano moderno, taglio sobrio di capelli e calcio a 360%. La completa emancipazione dal futebol de barrio, dalle follie di Asprilla e le piroette di Higuita. Il calcio pulito di una Colombia che vive ancora di narcotraffico e violenza, ma che impacchetta i suoi talenti in giro per il mondo in tenera età.

EL COCO PEREA – In questo contesto si colloca il gruppo di ragazzini terribili della Colombia Under 20, capaci di stracciare l’egemonia dei brasiliani e conquistare il Sub-20. Una squadra ricca di talento, decisamente più disciplinata ed europeizzata rispetto alle leggende di Maturana. Bonilla, Balanta, Quintero, Nieto. Talenti distanti anni luce dal calcio sregolato di 20 anni fa, un calcio pittoresco così distante dal nostro mondo. Oggi le distanze si sono ridotte, i club europei sono pronti ad investire in Sudamerica, ma a patto di accogliere giocatori già impostati per i nostri campionati. Cambia il calcio di questi Paesi, e anche della Colombia, ma soprattutto cambiano i loro campioni. Radamel Falcao, fenomeno che si insinua nel tete a tete tra Messi e Ronaldo per la conquista dell’elite del calcio, è il prototipo dell’attaccante moderno…europeo. Brayan Perea è stato acquistato dalla Lazio per la prossima stagione. Un quinquennale per il giocatore, una cifra poco inferiore ai 3 milioni di euro per il Deportivo Calì. Attaccante classe ’93, la rapidità di una seconda punta nel fisico di un centravanti. Propenso ai ripieghi difensivi, ben impostato tatticamente. Giovani colombiani “europei “crescono. Una sola virgola fuori posto: una cresta da galletto che ci riporta indietro di vent’anni. Il casco di Valderrama e i baffetti di Alvarez e un calcio che forse non rivedremo mai più.