Lazio, c'è il Celtic di Di Canio: tra britpop e paesaggi post-nucleari

Europa League, la Lazio pesca il Celtic. Se si pensa al Celtic, si pensa alla maglia bianca e verde sporca di fango di Paolo DI Canio.
31.08.2019 07:30 di Laura Castellani Twitter:    vedi letture
Fonte: Laura Castellani - Lalaziosiamonoi.it
Lazio, c'è il Celtic di Di Canio: tra britpop e paesaggi post-nucleari

"Conoscevo molto poco del calcio scozzese. Ma conoscevo le famose strisce orizzontali bianche e verdi del Celtic dai tempi in cui giocavo a Subbuteo da bambino. Amavo quelle magliette, per il fatto che sembravano divise da rugby e non avevano i numeri sulla schiena. Solo l’idea di vestire qualcosa di cosi diverso, di cosi inusuale, mi eccitava": parola di Paolo Di Canio. Già, perché la Lazio può non aver ancora conosciuto gli Hoops, li affronterà per la prima volta in Europa League il 24 ottobre, in un girone ostico, tutt'altro che scontato. Ma l'ex centravanti biancoceleste sa bene di cosa si stia parlando. La storia è nota: dopo Juventus, parentesi napoletana e Milan, Di Canio prese un aereo - per la precisione, un jet privato messo a disposizione da Silvio Berlusconi - e volò a Glasgow. Il look brit, le basette, la maglia puntualmente sporcata dal campo fangoso dell'inverno britannico diventano marchi di fabbrica, di pari passo con i gol - prodezze raramente ravvisabili sui campi scozzesi. Un anno solo al Celtic, ma decisivo: di giocatori così, raramente ne hanno visti, da quelle parti.

CELTIC: PANORAMA POST-NUCLEARE BRIT - Sceso da quel jet privato per incontrare il club scozzese, la prima impressione della città non fu delle migliori: "Era fredda e piovosa, le strade erano vuote, sembrava un panorama post nucleare - racconta nella sua autobiografia -. Ma poi arrivammo al Celtic Park e tutto cambiò". Già, tutto cambiò. Merito soprattutto di Tommy Burns, molto più di un allenatore per quel Celtic. Era riuscito a fare di quella squadra una vera famiglia. Una famiglia nella quale Paolo Di Canio non ebbe problemi a sentirsi parte. La lingua non è stata uno scoglio insormontabile: è bastato fare incetta di dischi degli Oasis, così raccontò l'ex compagno Alan Stubbs. Sembra quasi una scena di un film nostalgico sugli anni '90: Paolo di Canio che al termine di un'amichevole del pre-season, sale sul bus con i compagni di squadra per assistere al concerto del gruppo mancuniano a Loch Lommond. "Cantavamo a squarciagola e bevevamo birra durante il nostro tragitto in bus". È difficile pensare a una sequenza più iconica. E pure su quel cielo grigio, alla fine si sarebbe ricreduto durante la presentazione ai tifosi: "Il sole splendeva, sembrava Napoli. Ero sui gradini del Celtic Park e tutt’attorno a me, almeno fino dove la vista poteva arrivare, c’erano i tifosi del Celtic con le striscie bianche e verdi"

TALENTO  - Con Tommy Burns ci fu subito una grande intesa - "Raramente avevo sentito un legame cosi con un’altra persona". La cattiveria agonistica di Di Canio si sposava perfettamente con quel campionato e in più, il suo talento era incredibile. In un contesto come quello del Celtic, decisamente unico. E lui è il primo a esserne consapevole. Sicurezza di sé con gli avversari, e un pizzico di frustrazione - a volte destinato a diventare una montagna - durante l'allenamento, quando ricevere un passaggio come si deve diventa quasi un miraggio. Paolo Di Canio che lascia Barrow Field dopo aver perso le staffe con i suoi compagni, ai quali rinfacciava lo scarso livello tecnico, facendo infuriare il mister, è un altro degli aneddoti che ribadiscono il temperamento passionale di Di Canio. "Fiery", lo definirono i tabloid britannici: focoso. Di sicuro, le numerose schermaglie con avversari e arbitri non hanno contraddetto le etichette appiccicate dalla stampa. Lo scontro con Ian Ferguson è uno dei momenti più rappresentativi, non fosse altro per descrivere l'atmosfera dell'Old Firm, il derby di Glasgow: prima quell'eloquentissimo gesto con le mani, fingendo di spezzare qualcosa di invisibile, indicando l'avversario. Poi, un Di Canio furioso che rincorre Ferguson per il campo, trattenuto dai compagni.  D'altro canto, al primo incontro con Burns, quando il tecnico gli parlava del proverbiale trasporto dei tifosi del Celtic, l'attaccante rispondeva a gesti, "indicando me stesso e battendomi allo stesso modo la mano sul petto, per portare a fargli capire che anch’io avevo parecchio cuore". L'irruenza e l'impulsività non erano che conseguenza di quel cuore. Lo stesso che, nell'arco di un anno, conquistò i tifosi del Celtic, a cui non sembrava vero tutto quel talento e carattere nello stesso giocatore: lo elessero calciatore dell'anno. Ma l'idillio non durò a lungo.

MA ALLA FINE VINCE GAZZA - Paolo Di Canio al Celtic Glasgow è la storia di un anno. Passata alla velocità della luce, tra alti e bassi, come nelle migliori montagne russe. Tra farfalle nello stomaco e cuore in gola. Quel condottiero talentuoso e totalmente sfrontato non riuscì, da solo, a contrastare il dominio dei detestati cugini dei Rangers. Altro che derby di Roma: qui la questione è ancora più spinosa, in ballo non c'è solo la rivalità cittadina. Si parla di contrasti religiosi e politici, di cattolici indipendentisti e protestanti unionisti. Alla fine dell'anno, il campionato lo avrebbero vinto nuovamente i Gers: una supremazia imperitura che ormai si trascinava dall''89. Un altro laziale avrebbe festeggiato, a Glasgow: Paul Gascoigne. Certo, la soddisfazione di segnare e poi vincere nell'Old Firm, Di Canio era comunque riuscito a togliersela: 6 marzo 1997, quarti di finale di Coppa di Scozia a Celtic Park. "Io raddopiai dal dischetto al 19′. Quando la palla toccò il fondo della rete, sentii 50 mila voci che cantavano il mio nome. Era irreale". Paolo Di Canio rifece le valigie in quell'estate del '97. Con il presidente del Celtic, Fergus McCann, c'era un accordo non scritto: il proposito di ritoccare il contratto del romano una volta concluso il campionato. Una parola data e poi rimangiata dal presidente. E dopo l'addio di Tommy Burns, non c'erano più altri motivi per restare. L'avventura con il Celtic finiva così. In un anno aveva emozionato e aveva lottato. Imparando un inglese quasi perfetto, grazie a tutte quelle canzoni degli Oasis. Utilissime, per le successive esperienze di un laziale alla conquista del Regno Unito. 

Pubblicato il 30/08 alle 20:45