FOCUS - Pioli e Ventura, allenatori all'attacco: un calcio offensivo pieno di idee

Urla al posto dei pizzini. Lavagne al posto di Ipad. Allenatori vecchia scuola, come Stefano Pioli e Giampiero Ventura. Professori, per rimanere nel campo scolastico, di un calcio all'antica ma sempre bello. Un evergreen. Torino-Lazio è sfida anche tra tecnici, che nonostante qualche anno di differenza, sono accomunati dallo stesso ideale: il bel gioco votato all'attacco. Persone serie e di carattere. Che usano idee al posto dei milioni.
ANDARE ALLA VENTURA - Un buon allenatore non si giudica dai risultati, ma dall'idea di calcio. Giampiero Ventura, un calciatore mancato per problemi alla schiena, ha capito ben presto che sedersi in panca sarebbe stato il suo destino. Genova, 1948. È figlio di una famiglia che lo ha sempre accompagnato nella sua vita sportiva, e figliastro di una città ironica e piena di gente curiosa. Prende le parole di De Andrè, le battute di Villaggio, e quella voglia di girovagare tipica di un posto di mare. Squadre minori, gavetta, fino all'esperienza con il Lecce condotto dalla C1 alla Serie A nel giro di pochi anni. Poi con il Cagliari arriva anche l'esordio nella massima serie, ma l'avventura con Cellino dura poco. Già, il girovagare: Sampdoria, Udinese, Napoli, Messina,Verona, Pisa e poi Bari. In Puglia ritrova mordente e bel gioco oltre che la A. Nella prima annata porta i Galletti fa 50 punti, è record. Scopre giocatori come Leonardo Bonucci e Andrea Ranocchia. Sembra pronto per una big, per una grande squadra dopo tanta provincia. In realtà la favola barese finisce all'ultimo posto. Esonero e stop. Si riparte da Torino. Cerci e Immobile, i gemelli del gol, lo fanno impazzire. Arriva l'Europa e i due gioielli se ne vanno. Poco male, per uno che di toppe ne ha messe nella vita, cosa cambia metterne altre due? Il suo è un Torino arrembante, che non ha paura di nulla e se la gioca con tutti. Certo, si vince e si perde. Ma il bel gioco non lo regala nessuno. E lui, che in carriera ha saputo sempre arrangiarsi, da gran signore non ha mai alzato la voce. Ha un sito internet e una famiglia che lo ha sempre seguito. Mister Libidine è anche questo. Il suo Toro scorrazza ancora per l'Europa e in campionato fatica ma c'è sempre: il 3-5-2, suo marchio di fabbrica, tra le mura amiche vale molto. Prima della sconfitta contro l'Udinese di domenica scorsa, i granata arrivavano da 12 risultati utili: 6 vittorie e 6 pareggi. Giampiero, in una settimana di fuoco contro Lazio e Zenit proverà a caricare i suoi. La corrida può cominciare.
PIOLI, L'OCCASIONE DI UNA VITA - A differenza del collega prossimo avversario, Stefano Pioli la big l'ha fatta sua. Con merito, sia chiaro. Anche la carriera di un allenatore è fatta di treni che passano. E in caso vanno presi. A Roma c'è da ricostruire una Lazio abituata a volare fin troppo a mezza classifica. Più che altro, servono idee nuove e divertimento. Con la professionalità che lo ha sempre distinto, Pioli dopo l'esonero di Bologna riparte con la grande occasione. La sua squadra va, diverte, e arriva a mostrare il miglior calcio d'Italia. Diventa poi padrino di tale Felipe Anderson, che fino all'anno prima cercava Dio solo guardando il cielo. Lui lo porta a battesimo come grande calciatore, e il brasiliano, di risposta, vede la Divinità anche nei suoi piedi. Si comporta come un fratello maggiore con gli anziani del gruppo: Mauri e Klose rivivono una seconda giovinezza. Il primo è arrivato a siglare otto reti stagionali, suo record da sempre. Il secondo, beh, è un campione del mondo ai suoi ordini. Si coccola Antonio Candreva e aiuta Stefan de Vrij, appena arrivato in biancoceleste, che dopo 8 mesi già si candida a diventare uno dei migliori difensori del mondo. La ricetta segreta? L'essere prima uomo, poi coach. E avere idee di come si giochi a calcio. Come il collega Ventura: ma non chiamateli vecchi.