Lazio-Inter e il veleno a posteriori... Alziamo gli scudi, siamo la Lazio!!!

Ancora Lazio-Inter e ancora tante polemiche. Mi verrebbe di dire basta, caliamo il sipario e guardiamo oltre. Davanti c’è Livorno-Lazio, una matematica salvezza d’agguantare e tanto altro da analizzare, come una stagione sbagliata in toto imporrebbe ed impone, ma questo non sembra possibile e non è permesso. Da laziale e da giornalista, sono indignato, resto esterrefatto da tata vigliaccheria nell’aver sottoposto un unico bersaglio sotto il fuoco incrociato di cento, mille e più organi d’informazione. Fiumi di parole, spese per screditare senza indulgi un popolo intero ed una società ultracentenaria. Pagine e pagine d’inchiostro consumate per spedire alla gogna chi secondo ‘una pubblica opinione’ è reo di aver falsato un risultato, una prestazione o addirittura un campionato. No! Non esistono gli estremi per aprire un’inchiesta su Lazio-Inter, però c’è sempre spazio e modo per sputare veleno addosso a chi è colpito e ferito. La logica del rispetto e quella dell’equità imporrebbe a chi accusa un equo spazio ed una sana difesa. Macché questa non è roba da Lazio, non è cosa che riguarda i laziali. Ci siamo sorbiti programmi tv, e processi mediatici, senza appelli, né difese, eccezion fatta per piccole nicchie biancocelesti che a stento levano gli scudi per respingere l’offensiva, ma di certo non basta. Lazio-Inter è deve passare come una gara falsa e falsata, il cui risultato per forza di cosa diventa frutto di un oscuro disegno legato a chissà quali losche minacce o pressioni. Dall’incertezza in campo dei calciatori, al professionismo messo in discussione. Dal ‘tifo contro’ sugli spalti, messo in croce da più direzioni, alle presunte minacce ai giocatori. Un concertino orchestrato a dovere, dove niente stona e tutto confluisce in unico assalto comune, il cui bersaglio finale è e resta la Lazio con i suoi tifosi. Vecchia storia e antica melodia, che storicamente pone il pubblico biancoceleste in una luce diversa. Un chiaroscuro di giudizi e considerazioni, che ritrae i supporters laziali come il marcio di una società sbagliata che vive ai margini del calcio. Il tifo che si fonde con l’illecito, e lo sporco che si colora di curva, quella laziale s’intende. Eccolo puntuale, anzi no con ritardo, oserei dire il pezzo che pone l’ultimo chiodo sulla croce su cui fissare un’intera tifoseria. La testata repubblica.it. L’articolo, tra l’altro ben scritto, narra di una strana vicenda di minacce e malavita, andata in scena martedì scorso nella famigerata settimana di Lazio-Inter. L’accusa è chiara, anche se mimetizzata nella colorita cornice di un racconto post-gara ricco di insinuazioni. I tifosi o gruppi di sedicenti tali, avrebbero intimidito i calciatori fuori ai cancelli di Formello affinché si perdesse, affinché si lasciasse campo libero all’Inter. Accuse gravi, dure, che lasciano aperte alcune domande. Pochi quesiti a cui non v’è risposta. Scene viste e vissute per raccontarle così nel dettaglio, e di questo non nutriamo dubbi. Ma allora ci s’interroga: Perché non scriverle e descriverle immediatamente? Perché attendere una settimana per poi unirsi al fuoco comune per colpire un bersaglio già ferito? Chi sta nel giusto e chi no? Magari la stampa puntuale e precisa avrebbe alzato un polverone anzitempo evitando a posteriori questo bailamme di accuse al veleno. Purtroppo oggi non lo sapremo mai, ma restiamo col dubbio che il pezzo qui sotto riportato, non faccia altro che aggiungere malumori ad un clima già teso. L’ennesima secchiata di fango insomma, sparata addosso ad un pubblico che non lo merita…
"Sapete quello che dovete fare. Non ci sono né se né ma... ci siamo capiti?", sussurra a denti stretti un "capetto" aggrappato al finestrino di Baronio all'ingresso del centro sportivo di Formello. Non è solo, ma è al comando di un gruppetto di tifosi "tosti". Si firmano su un cartello stradale: "Ultras Lazio". Il loro obiettivo: mettere subito in chiaro le cose con i giocatori. Lotito il giorno prima ha dichiarato che la Lazio deve vincere contro l'Inter perché non è ancora salva. "Non date retta al presidente. Siamo fuori pericolo, non potete vincere e consegnare lo scudetto alla Roma. Non dovete giocare, altrimenti...".
Non c'è bisogno di dire più nulla. I pochi giocatori, arrivati per la prima seduta facoltativa della settimana, annuiscono e restano in silenzio. Si limitano solo a delle interpretabili mimiche facciali. "Sapete cosa succede se i giallorossi vincono il tricolore? Questo non è calcio, c'è la vita in ballo", tuona in coro la banda. Nessuno scherzo, i galletti sono seri e non ammettono repliche. Anzi, i calciatori devono farsi addirittura messaggeri: "Spiegatelo anche a Reja".
La storia è iniziata così ma è andata avanti per tutta la settimana. Basta un giorno, basta un'ora e niente più. Poi Formello ritorna il semplice luogo deputato agli sfottò contro i romanisti. Al "pokemon" Inzaghi: "Domenica tocca a te". All'"alieno" Makinwa: "Gioca come sai". Al Berni "cacciatore": "Prendi due quaglie". E in generale: "Se c'è un rigore fatelo tirare a Floccari, per favore". Ma il primo giorno rimane forse indelebile nelle menti di tutti. Quelle intimidazioni, quel messaggio "mafioso" riemerge prepotentemente con sfrontatezza esplicita al 40' del primo tempo di ieri sera. Flash back. Dalla Nord riecheggia un coro da far rabbrividire: "Se vincete, ve menamo". Dopo tanti mugugni e fischi per le parate di Muslera, per i recuperi di Lichtsteiner e per le iniziative di Kolarov, al 46' arriva il gol Samuel. "OH NOOO", recita uno striscione in curva Nord. Un'esultanza al rovescio geniale, ma è purtroppo quella minaccia poco velata di pochi minuti prima a farla da padrone, a sdegnare gli appassionati di sport, a preoccupare l'Italia. E anche i giocatori biancocelesti che smettono di giocare. La tattica del "terrore" sortisce gli effetti sperati sul terreno di gioco. E non è falso moralismo certamente storcere il naso e affermare: "Che disgusto!". E se gli interpreti del campo hanno paura a dirlo, non si può comunque far finta di nulla: in Lazio-Inter ha trionfato la "prepotenza", non la goliardia.
Quasi offesi, massacrati dai media, lasciati soli a sé stessi. Regna ora il vittimismo fra i tifosi biancocelesti all'indomani della "festa" dell'Olimpico. Un frase scovata sul web riassume il concetto: "Avanti falsi moralisti ipocriti, giornalai con la sciarpetta dentro al cassetto della scrivania. Parlate, sparlate, sparate pure quanto volete. Questa è Roma, questo è Derby 360 giorni all'anno, questo è campanilismo, questa è goliardia, questa non è la pay-tv, questo è il calcio del popolo... questi sono fatti nostri". E nessuno lo mette in dubbio. Pensiero accolto con riserva. Perché nessuno vuol mettere in discussione lo 'sfotto'. Nessuno biasima chi ieri sera sperava in una vittoria dell'Inter. Nessuno può non comprendere il desiderio di vendetta nei confronti di quel pollice verso mostrato da Totti solo qualche settimana fa. Nessuno può pretendere che a consegnare lo scudetto ai giallorossi fosse proprio la Lazio. Nessuno. Il problema è un altro: questione di stile. La stessa sollevata per i romanisti al termine del derby. Ma anche su questo si potrebbe soprassedere. Se solo dietro non ci fosse un atteggiamento malavitoso assolutamente da denunciare. Quello che ha propiziato il vantaggio nerazzurro. Non è come dice Rosella Sensi "una vergogna per l'Inter vincere così". Semmai, tifare - se di tifo si può parlare - così. Non può essere una giustificazione: "I tifosi giallorossi si sarebbero comportati allo stesso modo". Probabile, e quindi? "Di certo, non accettiamo lezioni di moralità da nessuno, specialmente da chi ci augurava la serie B". La Lazio reagisce così. Ma rimane irrisolto il nocciolo della questione.