Fiorini, lo Scudetto, il gol di Klose come ultima gioia: nella storia di Andrea e Amaranto c'è tutto l'essere laziali

21.01.2014 19:10 di  Stefano Fiori  Twitter:    vedi letture
Fonte: Lalaziosiamonoi.it
Fiorini, lo Scudetto, il gol di Klose come ultima gioia: nella storia di Andrea e Amaranto c'è tutto l'essere laziali

Oggi avrebbe soffiato su 56 candeline, Giuliano Fiorini. Correva l'anno 1958, 21 gennaio: a Modena nasce l'Eroe del meno nove, il salvatore della patria biancoceleste. Gli bastarono due stagioni per scolpire la sua figura nel Pantheon dei Grandi della storia laziale. Fu quel gol salvifico, il 21 giugno 1987, a renderlo immortale nell'immaginario colletivo. La sua zampata contro il Vicenza, l'Olimpico straboccante di tifosi, di ansia e di speranza. Vade retro Serie C, la Lazio ha l'aquila come simbolo e deve tornare a volare. In occasione di questa ricorrenza, vi proponiamo un racconto emozionante. Ad inviarcelo è Andrea, un tifoso laziale che vive a Jesi. E' una storia intensa, che narra del suo rapporto con Amaranto, la persona che tanti anni fa lo fece diventare biancoceleste. E' una cavalcata umana che parte dagli anni '80, passa per lo Scudetto del 2000 e arriva fino ai giorni nostri. E che nella Lazio del meno nove, nella Lazio di Fiorini trova fondamento.

È successo a tutti - almeno una volta - di sentire un odore, un profumo o un gusto, mangiando qualcosa che non si mangiava da tanto. E avvertire la sensazione di essere trasportati indietro nel tempo, con la memoria, a quando si era piccoli. A quando tua madre ti preparava quella minestrina e a te sembra ancora di essere lì, a mangiarla. A me succede quando sento l'odore dell'erba falciata. Ritorno a quando avevo sei anni e iniziavo a correre dietro al pallone nel campetto dei giardini pubblici. Mi ripassa tutto davanti agli occhi. È successo questo qualche tempo fa, leggendo un articolo su Lalaziosiamonoi.it che raccontava del gol di Giuliano Fiorini col Vicenza, ultima di campionato, senza il quale la Lazio sarebbe finita in Serie C. Quel gol - si legge nel pezzo - è stato la seconda nascita, da lì è iniziata la seconda vita della Lazio. Bene, quell'articolo ha avuto l'effetto di riportarmi indietro con la memoria a quando compivo 20 anni. Io, allora tifoso juventino come tanti da bambini, ero in compagnia del papà della mia fidanzata Lui sì laziale, con le orecchie incollate alla radiolina, in vacanza sulla spiaggia di Senigallia. Seguiva gli spareggi di Napoli. Era il 1987. E io mi ritrovai a soffrire insieme a lui. 

Li avevo conosciuti nell'estate del 1984. I miei genitori prendevano tutti gli anni la casa a Senigallia, vicino a Jesi, città natale mia, del "Mancio" e di Luca Marchegiani (al quale da ragazzino feci pure due gol in un torneo, ma smisi di vantarmene quando passò alla Lazio!). Da quel momento, iniziai a seguire e simpatizzare per i colori biancocelesti. Il papà in questione mi ha avvicinato alla Lazio piano piano. Col tempo mi ha fatto conoscere il mondo biancoceleste, mi ha fatto capire con l’esempio cosa vuol dire essere veramente laziali. Nei fine settimana in cui andavo dalla fidanzata, mi portava ogni tanto all'Olimpico: più ci andavo, più mi rendevo conto che mi ci trovavo a meraviglia. Grazie a lui, si è incubato in me il seme della lazialità, e questo seme è sbocciato definitivamente nel momento che ho descritto prima, quegli spareggi che mi hanno consacrato laziale.

Poi successe che dal 1991 quel signore divenne il papà della mia ex. Non ci siamo più frequentati né sentiti, per 9 anni. Fino a quando, il lunedì prima di Lazio-Reggina del 14 maggio 2000, alzo il telefono e gli dico: "Prendo i biglietti per la partita, ci vieni?". Lui mi dice sì.

Come tredici anni prima, eravamo di nuovo insieme, questa volta in Tribuna Tevere. E come tredici anni prima eravamo ancora una volta con l'orecchio attaccato alla radiolina, per seguire la partita della Juve a Perugia. Il boato al gol di Fiorini l'ho sentito solo per radio, ma dicono che sia stato il più forte della storia dell'Olimpico. Quello seguito al fischio finale di Perugia credo sia stato di poco inferiore. Ci siamo abbracciati forte, tutt'e due con gli occhi lucidi: "Mannaggia a te, mannaggia - mi disse lui - ma nun me potevi chiama' prima?!".

La sera lui tornò a casa, io rimasi per un po' seduto sulla fontana di Piazza Esedra, in attesa del treno che mi avrebbe riportato a Jesi, a godermi i caroselli di bandiere biancocelesti. Da allora non ci siamo sentiti per qualche anno, nel frattempo mi sono sposato e nel 2009 ho avuto un figlio. Il Natale seguente mi squilla il telefono, rispondo e lui mi fa "Ciao papà!". Da allora, ci siamo sentiti almeno una volta l'anno: dopo i convenevoli, si finiva sempre a parlare di Lazio. Fino a ieri.

Mi manda un messaggio la mia ex. Mi dice che suo padre - il suo nome è Amaranto -, ossia quella persona che mi ha fatto diventare laziale, da due giorni si è vestito dei colori del cielo, e che in eterno tiferà Lazio da lassù. Lunedì 6 gennaio era in ospedale, si è fatto acquistare la partita in tv per seguire Lazio-Inter. Il gol di Miro: quella è stata l’ultima immagine di Lazio impressa nei suoi occhi. Finita la partita ha chiuso gli occhi, è entrato in coma per due giorni. E' voluto andare a festeggiare il compleanno della Lazio in Paradiso, a conoscere finalmente i fondatori, in compagnia del Maestro, di Giorgione, di Bob Lovati, di Luciano Re Cecconi, di Giuliano, di Gabbo e di tutti quelli che ora mi dimentico ma che come noi sono la Lazio. Ora sono in treno, sto scrivendo e sto andando a dargli l'ultimo saluto: il cerchio della storia si chiude qui, nel modo che magari è più ovvio perché la morte è la naturale conseguenza della vita, ma mi piace pensare che noi non abbiamo perso un tifoso. Solo si è spostato più su, per vedere meglio.