Lazio, una mezz’ora da scudetto: non è tutto da buttare
ATALANTA-LAZIO - Partiamo dalle banalità e da ciò che è evidente a tutti: la Lazio ha incontrato la squadra più difficile da affrontare in assoluto in questo campionato, a prescindere dal contesto in cui è ripartita la Serie A, figuriamoci dopo mesi di stop post Covid; l'Atalanta aveva già una partita sulle gambe e la differenza, alla lunga, si è vista; a chiunque avrebbe pesato l'assenza di quattro titolari (Luiz Felipe, Leiva, Lulic e Marusic, a cui si sono aggiunti i problemi di Correa, Cataldi e Radu), a maggior ragione a Bergamo contro una formazione che ti mangia le energie e ti richiede uno sforzo ulteriore. Questa non è la conta degli alibi, ma dati di fatto per un'analisi completa della sconfitta che ha interrotto una striscia positiva di 21 risultati utili consecutivi, e Inzaghi li aveva messi tutti in preventivo. Sapeva a cosa la Lazio sarebbe andata incontro e dove avrebbe potuto subire.
MENTALITÀ PIÙ DELLA STANCHEZZA - Forse quello che non aveva previsto erano gli errori individuali, imperdonabili quando dall'altra parte hai una formazione che mantiene la media realizzativa per partita di quasi tre gol, e una mentalità un po' rinunciataria riconoscibile dopo il primo gol di Gosens: la Lazio ha lasciato troppo il pallino in mano all'avversario, credendo di aver fatto già abbastanza, ma più che per un calo fisico per una sua scelta. Poi, certo, è subentrata anche la stanchezza, ma nei primi venti minuti del secondo tempo si poteva gestire meglio il vantaggio con l'idea di tenere l'Atalanta più lontana dall'area, senza abbassarsi troppo. Dunque, tutto torna, ecco spiegato il 3-2 che la Dea alla fine ha meritato. Eppure la sconfitta di Bergamo si porta dietro un carico di ottimismo.
Atalanta - Lazio, la sconfitta spiegata tramite i numeri del match
DA DOVE PUÒ RIPARTIRE LA LAZIO - Per tutte le circostanze elencate la prova della Lazio è tutt'altro che da buttare. Gli errori sul primo gol (più che di Lazzari, che non può contrastare i centimetri di Gosens, la colpa è nella lettura dell'azione che porta al colpo di testa, dal taglio in area di Zapata al cross di Hateboer, tutto troppo facile) e i regali sul secondo (angolo concesso generosamente da Acerbi che non si parla con Strakosha) e terzo (Strakosha non esce e Caicedo non copre) sono tutti dei blackout incredibili, incertezze che la Lazio nei 21 risultati utili di fila non aveva quasi mai mostrato. Ecco, Inzaghi può ripartire da qui e far capire alla squadra che senza certi svarioni del genere, probabilmente, avrebbe anche vinto a Bergamo. Lo dimostra il primo tempo: due gol, azioni in verticale e ampiezza sulle fasce, le ripartenze che funzionavano, per poco non si è sfiorato il tris. La Lazio ha accettato il gioco dei nerazzurri di puntare sugli uno contro uno e li stava surclassando vincendoli tutti. Finché ha scelto di giocare non ce n'era. Era la Lazio pre Coronavirus, quella briosa e bella da vedere, che sa gestire il pallone e affondare il colpo. Poi mentalità e stanchezza hanno fatto il resto. Contro la Fiorentina servirà tornare semplicemente alle vecchie abitudini, senza complicarsi la vita, rimanendo uniti. Una sconfitta non può cancellare un percorso straordinario e spegnere un sogno ancora vivo.
Lazio, il precedente del 1999-2000: a 11 giornate dalla fine -4 dalla Juve
Pubblicato il 25/06 alle 20