Pedro: "Gioco ancora, sogno un trofeo con la Lazio! Barcellona e Chelsea, che carriera..."

Pedro si racconta. Ai microfoni dell'Equipe, l'attaccante della Lazio ha ripercorso tutta la sua carriera: dagli inizi a Tenerife arrivando alla sua avventura nella Capitale, passando per il Barcellona, per il Chelsea e per tanti, tantissimi trofei vinti. Di seguito le sue parole: “È più difficile alla mia età, ma ogni mattina, quando mi alzo, la passione è ancora forte. Sono ultra-motivato perché mi rende felice poter ancora fare ciò che voglio nella vita. Voglio allenarmi e dare il meglio di me. Sento la fiducia dei miei compagni di squadra, dei tifosi e dell'allenatore Marco Baroni, che è pieno di umiltà e di voglia di giocare. Al momento ci sono molti francesi in squadra, il che è fantastico!".
DERBY - "La rivalità con la Roma? È difficile da descrivere. C'è più tensione che tra Barcellona e Real, o tra Chelsea, Arsenal e Tottenham. Questo derby non è tanto una questione di calcio. Quando si entra all'Olimpico l'atmosfera è davvero intensa. Inoltre, adoro la città: è splendida e la gente è molto accogliente. È molto simile alla Spagna in termini di cultura, mentalità, clima... Mi sento a casa a Roma".
LA SUA ROUTINE E IL SUO GIOCO - "Il tempo vola, ormai sono un po' vecchio! È pazzesco che ne sia passato così tanto, giocando per club così grandi e vincendo in questo modo. Non sono ancora soddisfatto, mi piacerebbe vincere un trofeo con la Lazio, è molto importante per me. Sono in una fase diversa della mia carriera, ma mi sento in forma. Corro meno, ma ho esperienza. Misuro i miei sforzi. So quando correre per segnare o rimanere in posizione per recuperare. Ho sempre avuto questo istinto che mi guida a lanciare il mio movimento al ritmo giusto. Questa fiducia di poter segnare e fare la differenza mi sostiene. Se questa fiducia sparisse, sarebbe la fine per me. Il calcio è cambiato, ci sono molte più partite e meno tempo per recuperare. Prima potevo allenarmi duramente un giorno dopo, ma ora ho bisogno di due o tre giorni per recuperare davvero. Mi sono comunque sempre attenuto alla mia solita routine: mangiare bene e dormire bene per massimizzare il recupero. Prima della partita, in albergo o al centro sportivo, cerco di rilassarmi il più possibile, che è fondamentale a 37 anni. Gioco alla PlayStation, a FIFA (EA Sports FC), a Call of Duty, guardo Netflix... Ora riesco a staccare la spina molto di più. Quando ero giovane, invece, pensavo costantemente al calcio. Quando inizi vuoi fare subito carriera, passi ore e ore ad allenarti. Ora sono molto più tranquillo".
IL LAVORO CON I GIOVANI - “Al Chelsea, con Frank Lampard (nel 2019/20, ndr.), abbiamo spesso discusso su come aiutare i giovani condividendo la nostra esperienza. Ricordo tanti colloqui con Tomori, Abraham, Hudson-Odoi... Quando sono arrivato alla Lazio, ho potuto continuare a svolgere questo ruolo, che mi piace molto. Al Barça ho avuto la fortuna di avere Thierry Henry e altri giocatori più anziani che facevano la stessa cosa. Anche Valdes, Puyol, Xavi e Iniesta mi hanno aiutato. Mi hanno detto che all'inizio è più difficile, ma che poi le cose migliorano. Ora è il mio momento di dare spazio agli altri, è il ciclo della vita. I ragazzi mi ascoltano e sento che mi rispettano. Voglio guidare i giocatori più giovani e quelli che stanno arrivando. Posso sostenerli mettendomi nei loro panni e aiutandoli a integrarsi, presentando loro i compagni di squadra, parlando con gli allenatori... Al momento va tutto molto bene. Mi affido anche agli altri più esperti come Vecino, Romagnoli, Rovella e Zaccagni per mantenere questo rapporto".
GLI INIZI - "È diverso crescere su un'isola. Ho iniziato in una piccola squadra di Tenerife. Dovevo fare molta strada per arrivare al Barcellona. Josep Colomer, il direttore de La Masia, mi notò durante un torneo e mi offrì un provino. Non potevo crederci, era surreale, un'opportunità pazzesca. Ma a 15 anni sono partito da solo, senza punti di riferimento, senza famiglia, senza amici. È stato molto difficile passare dall'ambiente della mia isola, dove tutto era calmo e rilassato, a Barcellona, una grande città, con ingorghi, macchine, gente ovunque, catalano, una nuova cultura, nuove abitudini... La mia mente ha fatto fatica ad adattarsi a questo mondo. I primi giorni furono complicati. È stato un punto di svolta nella mia vita. Ma avevo già un legame con il Barça. I miei idoli erano Rivaldo, Ronaldo e Romario, soprattutto brasiliani. Ricordo molto bene anche Luis Enrique e Pep Guardiola. Guardavamo le partite a casa, tutti nella mia famiglia sono appassionati di calcio".
IL BARCELLONA - “Ogni anno la squadra era incredibile. Era una grande sfida inserirsi in quel gruppo: Ronaldinho, Eto'o, Henry... Avevano un'aura pazzesca, che occasione per stare con loro. A volte è difficile comportarsi normalmente e riuscire a giocare. Ricordo perfettamente la mia prima partita (contro il Real Murcia, 4-0, 12 gennaio 2008, ndr.). Ho giocato solo un minuto o due, ma è stata un'esperienza indimenticabile. Ero nella squadra dei miei idoli, un po' nervoso, ma non spaventato... Pensavo di rimanere in panchina. All'improvviso però mi hanno detto di scaldarmi e ho sostituito Eto'o. Non ho avuto il tempo di pensare ad altro, sennò il nervosismo ti distrugge. Solo dopo il fischio finale sono riuscito a divertirmi. Non dimenticherò mai quel momento. L'anno successivo siamo stati promossi in prima squadra con Sergio Busquets. C'era un equilibrio perfetto tra i giovani e le stelle, quegli anni sono stati indescrivibili, probabilmente il periodo migliore della storia del club. La Coppa del Mondo per Club del 2009 mi ha segnato, ma se dovessi scegliere un solo momento, direi la seconda Champions League vinta a Wembley nel 2011. Ho giocato da titolare e ho segnato il primo gol: avere un impatto del genere per il proprio club è fantastico".
IL CHELSEA - “Poi al Barça ho iniziato a giocare un po' meno, ma ero ancora in forma. A 29/30 anni avevo l'ambizione di giocare di più e di vincere trofei altrove. Il Chelsea era una grande opportunità per scoprire la Premier League, stava andando molto bene. Azpilicueta, Fabregas e Diego Costa mi hanno confermato che sarebbe stato una buona scelta per me. Ho vinto tre trofei in cinque anni, non male! La Premier League è il campionato più competitivo del mondo, ma anche il più fisico e il più spettacolare, senza dimenticare la passione dei tifosi. Giocarci da attaccante è pazzesco, non ci si ferma mai. Anche La Liga però è impegnativa: ci sono squadre eccezionali, soprattutto quando si tratta di giocare con la palla e di creare occasioni. Lo stesso vale per la Serie A, che è molto solida, più tattica e più difensiva. È l'ideale per mettersi alla prova e crescere quando si è giovani. Tutti questi Paesi mi hanno aperto nuove prospettive".
GLI ALLENATORI - “Pep Guardiola e Luis Enrique sono simili e diversi. Luis ha idee simili a Pep, basate sul possesso palla e sulla creazione del gioco, ma spesso anche più fisiche. È senza dubbio uno dei migliori. Dalle giovanili alla prima squadra, parlava molto con tutti. Voleva trasmettere la sua visione. Sono davvero molto competitivi. Con loro bisogna giocare e correre senza sosta. In termini di mentalità, per Mourinho esiste solo la vittoria. Del Bosque e Hiddink invece sono fantastici con i giocatori: sanno come creare un'atmosfera ideale e confortevole per uno spogliatoio. Dal punto di vista umano, Sarri è eccellente, parla molto. Ma quando una partita non va bene, è tutta un'altra storia. Per alcuni infatti è più complicato. Conte vive la sua passione fino in fondo, e nei momenti difficili cerca di trasmettere questa sua energia. Ho imparato moltissimo da tutti, anche nei periodi più complicati. Se dovessi sceglierne uno solo, direi che Guardiola è il migliore sotto tutti i punti di vista. Ora mi piace veder emergere Fabregas e Xabi Alonso, che hanno un approccio più fresco e moderno".
LA NAZIONALE - “In sei anni ho vinto venti trofei al Barça, è stato il periodo migliore della mia vita. Ma naturalmente anche il Mondiale del 2010 con la Spagna è stato fantastico. Molti giocatori del Barcellona erano in Nazionale e questo è stato importantissimo per noi, ma più in generale per tutto il calcio spagnolo. Ripensare a tutti quei ricordi mi riempie di gioia. Quando si vince, c'è un misto di pressione e felicità. Si è più in alto di tutti, in una posizione di potenza. È un momento speciale che potrebbe non durare tanto, che potresti anche non vivere mai più, ma che vuoi prolungare a tutti i costi. Sono molto orgoglioso di essere l'unico giocatore ad aver segnato in sei competizioni in un anno e ad aver vinto tutti questi trofei".
IL SUO FUTURO - "Non sono mai stato riconosciuto mediaticamente come altri giocatori con cui ho giocato. Questa è la mia personalità: discreta, tranquilla, calma... Non amo molto i social network, preferisco stare per conto mio. Non ho mai voluto essere una star. Sarebbe divertente giocare ancora con Jordi Alba, Suarez, Messi e Busquets (ora all'Inter Miami, ndr.), ma gli Stati Uniti sono molto lontani. Ho visto che Baroni ha detto che avrei potuto giocare per altri quattro anni... Sembra complicato! Uno o due, però, perché no?".
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