Lazio, i ricordi di Marcolin: "Scudetto? Temevamo il pari della Juve. All'Olimpico..."

14.05.2025 17:00 di  Andrea Castellano  Twitter:    vedi letture
Lazio, i ricordi di Marcolin: "Scudetto? Temevamo il pari della Juve. All'Olimpico..."
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© foto di Federico Gaetano

Dopo 25 anni dalla vittoria del secondo Scudetto della Lazio, parla Dario Marcolin. Ai microfoni di Radiosei l'ex calciatore biancoceleste, campione d'Italia del 2000, ha raccontato le sue emozioni e il suo ricordo del 14 maggio all'Olimpico. Di seguito le sue dichiarazioni.

“La stagione ci cambia completamente con il gol di Simeone a Torino su assist di Veron. Siamo diventati così una squadra che ha cominciato a crederci veramente quella cavalcata nasce lì, ma va sottolineato come quella squadra poteva ambire praticamente a qualsiasi cosa, niente le era preluso in partenza. Il gol annullato a Cannavaro? Anche noi avevamo assorbito la rabbia dei tifosi, ma ci ha anche fortificato. Eravamo contro tutto e contro tutti a quel punto. Noi sapevamo che tanto dipendeva di noi, eravamo consci dei nostri grandi mezzi”.

“L’ultima giornata di campionato contro la Reggina, il nostro pensiero fisso avvicinandoci allo stadio era arrivare in qualche modo allo spareggio con la Juventus. Non ci aspettavamo minimamente quell’epilogo, nessuno se lo aspettava e non c’era niente di preparato allo stadio. Una giornata che ci ha cambiato la vita, letteralmente. Dopo il fischio finale all’Olimpico noi eravamo tutti nello spogliatoio. Nessuno voleva sentire nulla, neanche la radio. Avevamo paura che ascoltando avremmo portato in qualche modo fortuna alla Juventus. Mi ricordo la scena: tutta la squadra seduta, muta, nessuno voleva sapere assolutamente nulla".

"Ogni tanto entrava qualcuno e tutti si aspettavano che avrebbe portato un cambio di risultato. Pensavamo “vedrai che adesso pareggiano, adesso pareggiano…”. Fu una liberazione: qualcuno da un calcio alla porta e urla “è finita!”. Avevamo paura della delusione, per noi e per i tifosi. Era un gruppo unito in un silenzio di tomba, in quei secondi finali. Nessuno si azzardava a muovere un muscolo. Attimi di speranza e di tensione”.

“Se dovessi raccontare quella Lazio ad un ragazzo di vent’anni? Gli parlerei della testa di questi giocatori, della mentalità. Nesta e Mihajlovic si compensavano; a centrocampo avevamo malizia e cattiveria, oltre alla tecnica debordante di Veron che spesso iniziava terminava l’azione. Esterni bravi nell’uno contro uno, la classe di Mancini e attaccanti che ruotavano sistematicamente. Eriksson era il collante, riusciva ad ottenere da tutti qualcosa. Era un innovativo, un moderno. Era uno di noi, uno del gruppo”.

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