ESCLUSIVA - Chamot: "Questo derby è il più sentito e non si può perdere! Ritorno alla Lazio? Sognare in grande..."

Nesta, Negro, Favalli, prima ancora Bergodi. Difesa impenetrabile, quella della Lazio metà anni ’90. Poi c’era un argentino, che ben si destreggiava sia al centro che a sinistra. Zeman nel 1994 lo aveva portato con sé alla Lazio dall’esperienza foggiana, Josè Antonio Chamot si è immediatamente calato nella parte e ha conquistato la maglia da titolare senza mai perderla. In quattro stagioni ha collezionato 100 presenze, con la chicca della Coppa Italia conquistata nel 1998 ai danni del Milan, nonostante quell’infortunio muscolare che gli precluse la partecipazione alla finale. Ha proseguito poi la sua gloriosa carriera tra Atletico Madrid, Milan, Leganes e Rosario Central. La redazione di Lalaziosiamonoi.it ha contattato in esclusiva Josè Antonio Chamot, per una lunga intervista tra derby, amarcord e propositi suggestivi per il futuro
La tua strada e quella del tuo amico Almeyda si sono divise dopo l'addio al River Plate. Lui è approdato sulla panchina del Banfield… e Chamot? “Ho scelto di rimanere a Rosario per i bambini, ho due piccoli di 5 e 9 anni e poi altri figli più grandi, mia moglie ha bisogno di me qua a casa e ho fatto questa scelta di famiglia. Mi sono trovato molto bene con Almeyda, con Roa, con Amato, ma in questo momento mi ha chiamato la famiglia. Spero ovviamente in una panchina, non so se i bambini o una prima squadra dopo luglio e cercherò di portar avanti i miei progetti”.
Mancano poche ore alla stracittadina più importante della storia. Sensazioni? “Io ho giocato e vissuto tanti derby importanti: Madrid, Rosario, River-Boca, Milano. Secondo me la sfida Roma-Lazio è quella più sentita dai tifosi e dai giocatori, una partita che non inizia solo in quella settimana ma oltre un mese prima. Il derby della Capitale è stato un’esperienza speciale, particolare, che non si può dimenticare”
Per la prima volta nella Capitale ci si contende un trofeo. “Questa partita non si può perdere per nulla al mondo anche se non ci fosse il trofeo in palio, oltre ai tre punti o alla coppa c’è sempre un qualcosa in più, per chi veste la maglia della Lazio ha sempre un significato particolare E’ una finale di coppa, ciò dimostra che Roma è una piazza importante con due squadre di blasone, temute in campionato, la città si merita un derby in finale”.
La Lazio si è resa protagonista di una stagione double face. Qual è il tuo giudizio? “Non ho avuto occasione di vedere spesso la Lazio, ho avuto da fare molte cose in questi ultimi tempi, per questo ho lasciato Almeyda. Ho visto qualche partita però non ho proprio una cognizione completa della stagione che sta finendo”
In tanti hanno paragonato questa stagione al 1997-98: settimo posto, amplein nei derby e conquista della Coppa Italia. “Io non avevo potuto giocare la finale perché mi ero stirato, neanche quella di Coppa Uefa contro l’Inter. Sono scesi in campo i miei compagni ed è stata una festa speciale vincere contro il Milan in Coppa Italia. E’ una soddisfazione anche per i tifosi, per noi calciatori che soffriamo giorno dopo giorno e questo è rimasto nella storia”.
Qual è il tuo ricordo dell’avventura in biancoceleste? “Mi hanno fatto sentire molto importante, mi hanno avvalorato come calciatore, grazie all’allenatore, al club e ai tifosi. Sono stato bene, ha rappresentato un salto di qualità per la mia carriera perché provenivo dalle esperienze a Pisa e Foggia. Alla Lazio ho avuto la possibilità di lottare con le squadre migliori, mi ha consentito anche di trovare la Nazionale. Questa squadra è stata molto importante per la mia vita, per la mia famiglia. Quando sono dovuto andar via ho fatto fatica a lasciare, ma il calcio è così, sono decisioni che si prendono e si deve continuare”
Hai avuto qualche rimpianto per aver abbandonato la Lazio nel 1998, alla vigilia dei grandi trionfi? “Quando sono andato via la squadra è stata rinforzata con acquisti eccellenti. Non ho rammarico, io sentivo la Lazio nel mio cuore, ma sono sempre stato un professionista e ho cercato di ripagare la fiducia sul campo ovunque sono stato. Ho un affetto particolare, sono stato contento che poi ha vinto tanto perché avevo diversi amici e connazionali come Favalli, Almeyda. Eriksson ha fatto una grande squadra e ha portato i suoi frutti. Io in quel momento stavo all’Atletico Madrid con Arrigo Sacchi ma mi ha fatto molto piacere. E’ stata una scelta di vita, volevo cambiare un po’, fu una decisione anche dell’allenatore e del presidente che avevano bisogno di modificare qualcosa”.
Cragnotti, in questa Lazio, avrebbe potuto puntare ad ingaggiare anche Messi? “Bisogna avere soldi per allestire una squadra importante, ma tante volte bisogna stare attenti a comprare nomi altisonanti per formare una squadra compatta. Il calcio è fatto da 11 giocatori più una panchina, io ho visto squadre che non hanno funzionato nonostante tanti nomi importanti. Cragnotti ha sempre puntato ai migliori, non è facile poi comprare e far quadrare tutto….”
L’ex presidente ha sempre ammirato gli argentini. Oggi si guarda sempre meno alla Pampa, il caso Zarate può rappresentare la fine di una storia d'amore con la tua terra? “La Lazio puntava agli argentini, anche dopo per vincere lo Scudetto ha chiamato Veron, poi Crespo e Sensini. Non ho seguito il caso Zarate, tante volte si parla e non si conosce come stanno le cose, bisogna sentire le due parti e fare una valutazione. Io mi sono sempre limitato a essere uno sportivo, a cercare di giocare, mi sono tenuto lontano dalle questioni extracalcistiche. Zarate ha dimostrato di essere un giocatore con molto talento, e i giocatori bisogna trattarli bene, dare affetto e fiducia, metterli nelle condizioni di esprimersi al meglio in campo, altrimenti è come tirarsi la terra addosso”.
Esiste un emergente Chamot nel tuo Paese che consiglieresti alla Lazio? “Ci sono diversi giovani interessanti, a me piace molto Ramiro Funes Mori del River Plate. Ha avuto un infortunio, ha recuperato adesso, è un giovane che promette tanto, Anche il fratello Rogelio, che gioca in attacco, è un elemento interessante. Due elementi sui quali bisogna lavorare, ma che possono fare molto bene, li ho avuti come giocatori e sono talenti importanti”.
Hai allenato anche Cirgliano, centrocampista di qualità spesso accostato alla Lazio. E’ pronto per il grande salto? “E’ un 5 molto abile con i piedi, può agire anche solo davanti alla difesa, è elegante ed è capace di amministrare la giocata. Non sta giocando molto nel River, ma è giovane e con un po’ di esperienza può esplodere”.
Scenario suggestivo: Chamot sulla panchina della Lazio in coppia con Almeyda. Si può? “Un ritorno vuol dire sognare in grande, bisogna arrivarci attrezzati. Io voglio lavorare con allenatore, sarebbe un sogno nella squadra dove ho giocato e in una città come Roma, non sarà facile ma io lo tengo sempre nel cuore”.