Lazio, lezione amara a Como: Lotito deve risponderne

La Lazio cade a Como. Cade male.
Non è solo una sconfitta, è una resa senza lotta. Una squadra molle, svuotata, incapace di reagire. Tecnicamente sotto, atleticamente lenta, mentalmente fragile. È evaporato in campo quel mordente che da sempre invece contraddistingue il popolo laziale fuori.
Troppo brutta per essere vera? Forse. È l’unico appiglio che resta, la speranza che questa sia stata una parentesi inspiegabile, un blackout collettivo. Ma la flebile illusione fatica a reggere, perché l’impressione è netta: la rosa è carente, povera di qualità e forse persino di carattere.
Il confronto con le grandi del campionato è impietoso: lì scorrono i fiumi d’oro degli investimenti, qui il gasolio razionato di Lotito. È la storia di Davide contro Golia, ma stavolta Davide non ha nemmeno la fionda in mano. Non è il racconto romantico del bene che abbatte il male, ma la fotografia cruda di un calcio diviso tra chi ha potere e chi non ce l’ha.
Questa sconfitta non appartiene solo a Sarri, ma a tutta la Lazio. È il sistema che scricchiola, è l’insieme che vacilla. Eppure, dentro questo senso di impotenza, c’è l’unico spiraglio: la consapevolezza che lottare è l’unica strada.
Deullare, graffiare, correre su ogni pallone, in ogni partita, senza sconti. “Siamo questi e rimarremo questi”, ha spiegato Sarri. In campo questo deve diventare il mantra inevitabile. Con lo stesso allenatore che dovrà forse rivedere le sue letture, rapportandole al materiale effettivamente a disposizione.
Fuori, però, resta lo scenario preoccupante di un club e di una presidenza che appare incapace di confrontarsi con i grandi. Un differenziale di potenziale che penalizza la Lazio e la declassa nella zona anonima della Serie A. Questa è la realtà, ed è ciò che dovrebbe convincere Lotito a cambiare rotta: gestione, investimenti, apertura a nuovi investitori. Serve un volano per far crescere il fatturato, e serve presto.
Il mercato resta bloccato, forse si muoverà a gennaio. Ma la Lazio merita di più: non una guerra a salve contro chi dispone di arsenali spaventosi. Serve coraggio e non egoismo, in campo e fuori. Il club rifletta. La squadra lotti.
La Lazio e i laziali non mollano mai. Ce l’hanno nel DNA.
Ed è da qui che bisogna ripartire.
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