ESCLUSIVA - Seric: "Volevo la Lazio, sarei rimasto di più! Di Canio? O si odia o si ama! E per il futuro occhio a Pasalic..."

Ci sono quei giocatori che vedi per anni calcare i campi di Serie A, poi d'emblèe spariscono dalla circolazione. Anthony Seric era uno dei volti noti del nostro campionato: sei stagioni tra Hellas Verona, Brescia, Parma e Lazio, prima di un giro itinerante che lo ha catapultato dalla Grecia, alla Turchia sino alla sua Croazia, per poi finire al Portogallo, nella colonia italiana dell'Olhanense. Purtroppo un infortunio al polpaccio lo ha messo ko, a 35 anni il ritiro è più di una semplice idea per l'ex terzino della Nazionale croata. Resterà comunque nel mondo del calcio, la sua vita. Anthony Seric torna a parlare ai media italiani e si confessa in una lunga intervista ai microfoni di Lalaziosiamonoi.it. Un viaggio all'interno della sua carriera, con un focus sulla sua breve esperienza nella Lazio (2004-05, ndr): un'annata travagliata, un gruppo multietnico quantomeno sperimentale, il rapporto con la città e quello privilegiato con Paolo Di Canio, personaggio controverso dello spogliatoio laziale. Spazio al mercato e nei consigli per gli acquisti spunta un giocatore molto vicino alla Lazio a gennaio. Vita, morte e miracoli di Anthony Seric, in esclusiva su Lalaziosiamonoi.it.
Lo scorso novembre hai iniziato una nuova avventura in Portogallo, all'Olhanense, ma hai lasciato per motivi personali. Hai optato per il ritiro? "Non ho deciso di ritirarmi definitivamente. Mi sono fatto male al polpaccio, era rimasto un mese e mezzo di campionato e ho fatto anche un piacere alla società rinunciando ad un paio di stipendi. Non ho deciso se continuare a giocare o no, ho cominciato a lavorare con il mio procuratore e la sua agenzia nella promozione e vendita di calciatori".
Pensi che questo possa essere il tuo futuro? "E' un'idea, mi è stato proposto anche di fare il direttore sportivo per una squadra di cui non posso fare il nome. Ho avuto la fortuna di giocare in diversi campionati, bisogna sempre lasciare buoni ricordi e tenersi porte aperte. E' importante avere nuove idee, sono piccole cose che fanno la differenza, nel calcio lavorano più o meno tutti allo stesso modo".
Segui ancora la Serie A? Come giudichi la stagione della Lazio? "Seguo il calcio italiano, questo Paese mi è rimasto nel cuore. Se dovessi andar via dalla Croazia mi trasferirei lì. Per quanto riguarda la Lazio, i tifosi sono contro il presidente, ma i fatti parlano da soli: ha preso una società sulla via del fallimento, l'ha tirata fuori dal baratro, ha ottenuto risultati importanti. Può piacere o meno ma non si può giudicare chi mette i soldi e chi tira fuori dalle difficoltà una squadra con una storia così importante".
Lunedì la Lazio affronterà il tuo Verona. Una gara che vale un posto in Europa, ti aspettavi un exploit dell'Hellas? "Il Verona è un pezzo di storia della mia vita, ho mosso lì i miei primi passi calcistici. Ha vissuto un momento negativo con la retrocessione in C, credo che la città meriti di andare in Europa. Le società tipo Lazio e Roma si aspettano questi piazzamenti, ma una squadra neopromossa che lotta per l'Europa rappresenta una storia bellissima".
Hai conosciuto Reja all'Hajduk Spalato (2009/10, ndr). Qual è il tuo giudizio? "Il mister è un personaggio, un uomo vero che vive di emozioni. Sono persone di cui il calcio di oggi ha veramente bisogno, il panorama italiano è calato rispetto a dieci anni fa. Ha bisogno dei Reja, dei Di Carlo, dei Mazzone, persone che sentono veramente il calcio".
In estate la Lazio dovrebbe intervenire sul mercato in maniera importante. Il tutto verrà orchestrato da Igli Tare, personaggio che hai conosciuto ai tempi di Brescia. Come giudichi il suo operato? "Non vedo e non sento Igli da un po' di tempo, magari ci sarà occasione di vedersi. Qualcuno l'ha messo lì per lavorare, ha creduto in lui e se è rimasto lì vuol dire che ha fatto qualcosa di importante. Ha indovinato buoni acquisti e ha ottenuto risultati. Non mi immaginavo che sarebbe emerso in così poco tempo, però nel calcio non ci sono regole. Da un giorno all'altro si è tolto la maglia ed è andato dietro ad una scrivania, complimenti a lui".
Tare segue con attenzione il calcio croato, ti senti di consigliare qualche talento alla Lazio? "Sicuramente Pasalic, un ragazzo della mia città che è stato venduto al Chelsea (è stato vicinissimo a vestire biancoceleste lo scorso gennaio, ndr). Secondo me non troverà spazio nell'immediato perchè è molto giovane, ma un trasferimento in Italia sarebbe perfetto per la sua crescita. E' un ragazzo serio e con grandi qualità, bisogna solo trovare la piazza in grado di tirar fuori queste doti. Il calcio italiano ti insegna come devi mangiare, come stare in campo, chi passa per la scuola italiana può giocare in qualsiasi campionato del mondo. Ci sono anche dei ragazzi di 15-16 anni che vanno seguiti, la Croazia è ricca di talenti".
Il nome di Rakitic continua ad essere accostato alla Lazio, è l'uomo giusto per la riscossa? "Sicuramente può garantire il salto di qualità se arrivasse alla Lazio. Ha disputato un campionato straordinario, ha qualità tecniche notevoli".
Sei arrivato nella nuova Lazio di Lotito nel 2004, come valuti quell'esperienza? "Sono arrivato in un momento delicato della Lazio, ero in prestito. La società non aveva la possibilità di investire molto sul mercato. L'anno dopo ho avuto l'opportunità di andare in Grecia in una grande squadra come il Panathinaikos. Posso dire solo cose positive della Lazio, quando sono a Roma torno volentieri a salutare tutti quanti, anche il presidente. Dispiace non esser rimasto di più, sono stato bene sia a livello calcistico che ambientale".
Qualche rimpianto? "Io volevo la Lazio, sono andato lì consapevole del fatto che avrei guadagnato meno rispetto ad un'altra squadra. Speravo di rimanere, ma non sempre si può decidere, una porta calcistica si chiude e un'altra si apre, la carriera va avanti. Sono arrivato in un momento in cui la Lazio soffriva, anche a livello economico, ma posso solo parlarne bene".
Era un vero e proprio crogiuolo di etnie, sembrava un'impresa impossibile... "Non era facile gestire quello spogliatoio in quel momento. La Lazio era stata rilevata da Lotito ad un passo dal fallimento, non era più la Lazio di Claudio Lopez, di Couto. Per emergenza sono arrivati tantissimi giocatori, il presidente ha puntato sulla quantità per coprire tutti i ruoli. Magari non aveva tempo di costruire e non sapeva gestire la situazione, era molto difficile, in quell'anno l'importante era salvarsi. Il lavoro della società è venuto fuori, sono emersi elementi come Pandev, poi più tardi i vari Mauri, Ledesma. Era una battaglia, c'era un po' di confusione".
Di Canio nella sua autobiografia scrisse che tu eri uno dei pochi a riconoscere il suo ruolo di leader all'interno dello spogliatoio. Ci descrivi il tuo rapporto con lui? "Sono personaggi che li accetti o non li accetti, li odi o li ami, non esistono vie di mezzo. E' un personaggio forte: come giocatore, come allenatore, fuori dal campo. In qualsiasi posto dove va la gente si ferma, lo ascolta, ad alcuni può dar fastidio ad altri no. A me non dava fastidio, ha sempre lasciato buoni ricordi, ha un carattere forte ed esprime quello che pensa. A me sta bene tutto questo".
Un messaggio ai tifosi biancocelesti. "Vengo spesso a vedere le partite all'Olimpico ma loro non sanno che io sono lì. Torno volentieri a Roma, vado a mangiare nei ristoranti storici laziali, è un pezzo importante della storia della mia carriera. Un saluto e un abbraccio a tutti quanti!"