ESCLUSIVA - L'ex craque Gasperino Cinelli: "La Lazio dello Scudetto faceva girare la testa"

31.03.2016 12:45 di  Davide Capogrossi  Twitter:    vedi letture
Fonte: Davide Capogrossi / Lalaziosiamonoi.it
ESCLUSIVA - L'ex craque Gasperino Cinelli: "La Lazio dello Scudetto faceva girare la testa"

Una rosa di All-Stars. La capa gira, come nel folkrostico capolavoro di Alessandro Piva, alla sola lettura di quella lista di campioni. Da Salas a Mancini, da Veron a Simeone, da Nesta a Conceiçao. L'armata di Eriksson stagione di grazia 1999-00 non aveva neanche la necessità di allenarsi con cotanto talento. Gasperino Cinelli era il frugoletto della Primavera lanciato in prima squadra, una promessa del nostro calcio nel top del calcio europeo. Un ragazzino di Latina con un nome da Marchese del Grillo ed un talento da Nazionale. Nel 1999 fu aggregato con i grandi, lo chiamavano il piccolo Vincenzo D'Amico. Stesso luogo di nascita, caratteristiche simili, Cinelli era cresciuto nelle giovanili sotto la guida dell'ex bandiera biancoceleste. La sua carriera è proseguita senza grandi sussulti tra le categorie minori, uno dei tanti esempi di giovani promesse che non sono riuscite ad inserirsi nel calcio che conta. Cinelli però non ha mai dimenticato quei momenti nella Lazio più forte di sempre e li ha condivisi in esclusiva ai microfoni di lalaziosiamonoi.it.

Nei giorni scorsi è andato in scena il Torneo di Viareggio, tu sei stato eletto miglior giocatore. L'agente Fifa Alessandro Canovi ti ha descritto come uno dei grandi talenti del calcio italiano, ma che non ha saputo reggere la pressione. Concordi? "Oggi ho 34 anni e posso dire che al di là della pressione non c'hanno gestito bene. Stavamo all'Acquacetosa, facevamo un po' quello che ci pareva. Non è facile per un ragazzino di 16 anni a Roma, sono d'accordo con le parole di Canovi".

C'erano tante aspettative riposte su di te, qualcuno ti aveva paragonato a Vincenzo d'Amico. "Vincenzo è l'unica persona del mondo del calcio che sento ancora oggi, per me è stato come un secondo padre. A 12 anni sono andato via da Sabaudia, lui è stato il mio allenatore per quattro stagioni. Mi accompagnava all'allenamento, mi ha aiutato nella crescita, avevamo un buon feeling".

Nel 1999 arrivi in prima squadra, nell'anno dello Scudetto. "Era l'anno più bello, una squadra piena di campioni, tutto quel talento faceva girare la testa. Aveva investito più di tutti, vantava giocatori del calibro di Nesta, Veron. Mancini. L'atmosfera era bellissima, per un ragazzo di 16 anni allenarsi con questi grandi campioni era un sogno che si avverava. Era uno spettacolo".

Hai qualche aneddoto relativo a quei campioni? "Mi ricordo il mio primo ritiro con altri giovani come Di Fiordo, Pinzi, Concetti. Alessandro Nesta era uno di più giovani, era già uno dei più forti  ma era anche un pezzo di pane. Ci dava consigli, parlava sempre con noi. Altri erano più distanti, l'immagine di Alessandro che si confrontava con noi è la più bella".

Da chi hai imparato di più? "Quando ero ragazzino mi chiamavano il piccolo Boksic. Senza fare paragoni ovviamente, lui era molto più possente fisicamente. In quegli anni giocavo da esterno in un 4-4-2 e potevo essere accostato più ad un Nedved. Partiva largo e svariava, è stato un grande campione e un punto di riferimento per tutti".

Il tuo rapporto con Eriksson. "È una bravissima persona. Aveva un assistente, Tord Grip, che si rapportava di più con noi giovani. Qualche mattina invece di andare a scuola ci allenavamo a Formello con lui nei classici integramenti. Eriksson è una persona semplice, tranquilla. I suoi allenamenti non duravano mai più di un'ora, un'ora e mezza. Partivano con il torello, poi partite a tutto campo. C'erano tanti campioni, non avevano bisogno di allenarsi più di tanto (ride, ndr)".

Oggi ancora più di ieri c'è una grande difficolta nel lanciare i giovani, si pensa più a vincere trofei. "È vero, ma rispetto a quando giocavo io siamo in crescendo. Con questa crisi economica almeno le piccole società hanno bisogno di investire e credere nei giovani, oggi ne escono di più. Prima giravano tantissimi soldi, ma ogni società ha un modo di lavorare differente".

Tra i tanti giocatori con cui hai giocato, chi avrebbe meritato di più? "C'era una ragazzo che stava all'Acquacetosa e giocava alla Lazio ma era molto più grande di me: Giacomo Paniccia. Giocava nella squadra di Caso, Franceschini, Ianuzzi. Io ero piccolino, lui era in Primavera e lo andavo a vedere. Aveva 37 di piede, destro e sinistro senza problemi, era un fenomeno. Io come lui, per motivi differenti, non siamo riusciti ad esplodere. Lui poteva sicuramente arrivare..."

Oggi sei tornato a casa, nella tua Sabaudia. Ti capita di ripensare a quei momenti? "Negli ultimi anni ho fatto tanti sali e scendi di categoria. Poi sono andato ad Anzio e ho fatto una scelta di vita, mi sono avvicinato a casa quando è nato mio figlio. Ora sono a Sabaudia, gioco in Promozione. La mattina lavoro, alle 18,30 vado ad allenarmi. Sono contento perché la passione è rimasta. I rimpianti sono tanti ma li ho lasciati al passato. Un paio d'anni fa giocavo a Sermoneta, in Promozione e andai a giocare a Casal Palocco. Ho incontrato Amelia e alcuni compagni come Turchetta e Federici che giocavano con me. In queste categorie ogni tanto c'è la sorpresa. Ci siamo fatti una bella chiacchierata, due risate. È andata così...".

 

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