ESCLUSIVA Radiosei – Baraldi: "Dopo Cragnotti una montagna di debiti, salvammo noi la Lazio dalla morte. Lotito? C'è invidia per il nostro lavoro"

Pubblicato il 14 marzo alle ore 20.13
15.03.2014 07:30 di  Lalaziosiamonoi Redazione   vedi letture
Fonte: Daniele Rocca - Lalaziosiamonoi.it
ESCLUSIVA Radiosei – Baraldi: "Dopo Cragnotti una montagna di debiti, salvammo noi la Lazio dalla morte. Lotito? C'è invidia per il nostro lavoro"

Cinque anni senza un emblema della lazialità, Ugo Longo. Il trentesimo presidente della storia della Lazio che, dopo il crac Cirio, è subentrato nel 2003 a Sergio Cragnotti al vertice della società capitolina. Nel 2004 si dimette ma l’abbandono della carica non coincide con quella della Lazio: assiste infatti legalmente S.p.A nel periodo dello scandalo di Calciopoli, esploso nel 2006. Per commemorare la scomparsa prematura di Longo, è intervenuto in esclusiva ai microfoni di Radiosei Luca Baraldi, amministratore delegato prima e direttore generale poi. 

Il presidente Longo è stato l’ultimo a far innamorare i tifosi della Lazio. Un suo ricordo.

“Io ho avuto la fortuna di conoscerlo e di vivere gomito a gomito con lui un anno. Forse l’anno più difficile o comunque uno dei momenti più difficili della storia della Lazio. Pertanto nelle difficoltà credo vengano fuori i valori veri delle persone e quelle che sono le capacità di coagulare intorno a determinate scelte quelle definitive che hanno portato a salvare questa società. E questo spesso viene dimenticato da chi oggi ne è il presidente. In quel momento è stata fatta un’impresa da parte del quadro dirigente, insieme ai calciatori, insieme ai tifosi che erano anche azionisti e grazie a tutti ancora oggi esiste la S.S. Lazio”.

Molte volte il presidente Lotito ha criticato il “Piano Baraldi”…

“L’onestà intellettuale delle persone credo che debba partire prima di tutto dalla propria coscienza. Quindi al di là di quello che le persone dicono pubblicamente, ci sono la storia e i documenti a raccontare quei momenti. Da questi si capisce come e da chi è stata salvata la Lazio, poi sicuramente Lotito ha avuto il merito e il coraggio di prenderla in mano e di iniziare un percorso. Ma dopo che il malato era stato rianimato e salvato da una morte sicura. Per cui, quando io sono arrivato a Roma, insieme a Ugo Longo - ma tutti i poteri gestori ce li avevo io visto che ricoprivo contemporaneamente sia la carica di amministratore delegato che di direttore generale - tutti pensavano che fossi lì per celebrare il funerale della Lazio. Invece, grazie a qualche idea, grazie alla collaborazione di calciatori, tifosi e stampa si è ripartiti. E Lotito è partito da una struttura di fondamenta che sono state gettate da altri prima di lui”.

La Lazio di Ugo Longo è arrivato ai 42 mila abbonati. Cosa è cambiato e come si può tornare indietro?

“Io posso parlare della mia esperienza. Io credo che le persone e i tifosi vivano con grande passione il proprio sentimento calcistico, soprattutto quando vedono e percepiscono che all’interno della società c’è un gruppo di persone che vogliono bene al club e sono disposti a tutto purché la squadra raggiunga certi obiettivi. Noi in quel momento avevamo due obiettivi: il primo era quello di salvare la società e il secondo era quello di arrivare almeno in Champions League perché ci avrebbe garantito quelle riserve finanziarie che ci avrebbero consentito la continuità aziendale. Io ricordo la sera del 24 giugno 2003, quando abbiamo deliberato l’aumento di capitale di 110 milioni di euro, io ho aperto le porte della sede ai tifosi. Roma viveva come se avessimo vinto lo scudetto. C’erano le macchine che suonavano i clacson per la città, era una festa. Se anche Lotito avesse vissuto quei momenti da tifoso come le abbiamo vissute noi, dopo non avrebbe fatto delle considerazioni come quelle che ha fatto. Mentre devo dire che ho sempre percepito una certa invidia nei confronti del nostro lavoro. E quindi non può togliere il merito alle persone che sono venute prima di lui a cominciare da Ugo che è stato uno dei più grandi presidenti, forse il più grande della storia della Lazio”.

L'atteggiamento duro di Lotito oltre che nei confronti delle ex gestioni è anche rivolto ai tifosi. È lì che deve lavorare per avere la popolarità che avete avuto nella vostra gestione?

 “Probabilmente è anche una questione di carattere. Lui manifesta i suoi sentimenti in un determinato modo. Poi bisognerebbe essere più concreti e attaccati alla realtà. Direi che se lavora con obiettività, riconoscendo i meriti degli altri, che non è un limite ma è un grande pregio, potrebbe fare bene. Alle volte un modo per crescere nella vita è riconoscere che anche altri hanno fatto qualcosa di buono e da lì si parte per andare avanti. Criticare senza motivo porta alla sterilità delle cose. Ma il rapporto è nato male sin dall’inizio con le contestazioni che arrivano da lontano. Il presidente ha comunque fatto cose importanti, ha avuto coraggio, è un uomo intelligente ma il calcio vive di sentimenti non solo di leggi legate a determinati a obiettivi personali. Bisogna lavorare a degli obiettivi che sono quelli dei tifosi. La società di calcio è un bene comune”.

C’è un momento che ricorda con particolare affetto di Ugo Longo?

“Ce n’è uno in particolare. Proprio in merito alla sera del 24 giugno, quando verso mezzanotte l’aumento di capitale andò in porto, lui mi abbracciò con le lacrime agli occhi e mi disse: “Questa sera il laziale vero, io sono un laziale vero, è come se avesse avuto un altro figlio”. Questo è stato un momento emblematico di un uomo che nonostante avesse raggiunto un’età matura, fosse un avvocato penalista navigato, è tornato bambino per la società di calcio che tifava da quando era piccolo”.

Clemente Mimun ha proposto Nesta come ambasciatore tra società e tifosi. Le sembra buona come idea?

“Alessandro Nesta rinunciò a dei soldi che doveva avere dalla Lazio per il bene della squadra per la quale ha sempre tifato. Non è facile che un giocatore rinunci a dei soldi, cosa che hanno fatto tutti i calciatori della Lazio di quell’epoca, ma lui che era andato già al Milan, per il bene della Lazio, rinunciò a dei compensi. Ed è un merito che lui ha. Credo che Mimun abbia avuto un’eccellente idea, potrebbe essere veramente un ambasciatore per cercare di unire la tifoseria e società”.

Oltre alla comunicazione, un’altra delle critiche che è stata mossa alla società è quella di non riuscire a fare il salto di qualità. Non si riescono ad aumentare i ricavi per fare un balzo in avanti. Baraldi che proporrebbe oggi?

“Io non so quali siano le strategie di Lotito. Anche io ho notato che spesso il main sponsor mancava dalle divise della squadra. Evidentemente anche qui bisogna cercare di portare la squadra verso l’esterno, verso degli imprenditori. Anche qui è un mondo di relazioni. Quando c’ero io era arrivata Parmacotto che fece un grande investimento sulla Lazio”. 

 La gente si chiede da dove venga quel buco gigantesco, perché Cragnotti dice che non è il suo.

“Per fortuna ci sono i documenti. Se lei legge le carte della Consob del 29 gennaio del 2003 quando noi ci siamo insediati come Cda, io, il professor Pessi e Ugo Longo abbiamo fatto la fotografia di tutta la montagna di debiti che ci siamo ritrovati dopo la gestione Cragnotti. Solo di imposte non versate avevamo più di 60/70 milioni di euro di arretrati. Avevamo delle messe in mora con dei giocatori che si stavano svincolando. Per poterli rivincolare andai io il 13gennaio del 2003 negli spogliatoi, grazie ad un’anticipazione della ex Banca di Roma, Capitalia, con 23 milioni in assegni circolari per pagare due o tre mensilità arretrate dei calciatori. Altrimenti, finita la partita di Coppa Italia con il Bari, se non avessi consegnato quei soldi, noi avremmo perso tutto il patrimonio calciatori”.