Talamonti: "Alla Lazio devo molto. Oggi lavoro in una ferramenta"

26.02.2020 10:15 di  Valerio De Benedetti  Twitter:    vedi letture
Fonte: Lalaziosiamonoi.it
Talamonti: "Alla Lazio devo molto. Oggi lavoro in una ferramenta"
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Un solo anno alla Lazio, ma Leonardo Talamonti viene comunque ricordato con affetto e piacere da tutti i tifosi biancocelesti. Ha lasciato il calcio nel 2018, ora ha cambiato vita. Ad intercettarlo è stato Tuttomercatoweb.com, al quale ha dichiarato: "Ho aperto un negozio di ferramenta sette anni fa, nel mio paese natale, Álvarez. Quando ho avviato l'attività giocavo ancora, appesi gli scarpini al chiodo è divenuto il mio lavoro a tempo pieno. Ho avuto la possibilità di rimanere nel calcio. Ho sentito procuratori che mi hanno proposto di collaborare ma mi è stata anche offerta la possibilità di fare il direttore sportivo in Argentina. Ho detto sempre di no. Il calcio nella mia vita c'è sempre, ma è puro hobby: quattro volte alla settimana alleno i bambini di 12 anni di una squadra del mio paese, che si chiama Union de Álvarez".

PERCHè QUESTA SCELTA - "Gli ultimi anni di carriera. Dopo l'esperienza all'Atalanta sono tornato in Argentina per giocare con la mia squadra del cuore, il Rosario Central. Era retrocesso e volevo contribuire alla risalita. Gli infortuni mi hanno purtroppo penalizzato, non riuscivo a giocare tre partite consecutive e a 31 anni ho detto basta. Solo che tornavo a casa nervoso, non andava bene. Ho quindi deciso di continuare a giocare, ma in categorie minori. E lì ho visto cose che mi hanno fatto riflettere: se nel massimo campionato le cifre che girano, specie al River e al Boca sono comparabili a quelle europee, un calciatore già dalla Serie B argentina guadagna come un operaio, figurarsi più giù. I ragazzi vanno in allenamento in treno, in metro. Se le cose vanno male è difficile tirare avanti. Ed è una cosa che mi ha svegliato. Mi son detto: quando smetto torno al mio paese e voglio vivere tranquillo. Così ho deciso di cambiare attività".

IL CALCIO - "Nella mia carriera ho visto di tutto. È brutto a dirsi, ma il 95% dei procuratori e dei dirigenti non mi è piaciuto. Ho trovato poca onestà. Tanto Alessio che è il più grande e ha 12 anni, che Matteo che ne ha 8, giocano a calcio. Se volessero farlo di mestiere io sono pronto ad appoggiarli".

L'ITALIA - "Ho tanti amici a Bergamo, che è una città che amo. Perché mi ha aperto porte che alla Lazio mi avevano chiuso. Per questo sono grato alla famiglia Ruggeri che ha avuto fiducia in me. E ringrazio anche la famiglia Percassi, con la quale abbiamo vinto un campionato di Serie B".

LA LAZIO - "Naturalmente sono grato alla Lazio, perché prima del mio trasferimento in Italia non mi conosceva nessuno. Purtroppo ho giocato poco, ero in prestito dal Central ma il presidente inizialmente mi aveva detto che mi avrebbe confermato. Solo che non l'ho più sentito. Credo che Lotito non sapesse nemmeno chi fossi. Ci sono state cose anche positive, perché la tifoseria era davvero bella e i compagni di squadra mi hanno aiutato a inserirmi. Penso a Couto, che parlava spagnolo, o Di Canio o Manfredini. Ma con la dirigenza non mi sono trovato proprio".

STAGIONE DIFFICILE - "Non c'era un direttore sportivo. Io arrivai in extremis grazie a un gruppo di procuratori. Lo stipendio per la Serie A era molto basso, ma ebbi modo di farmi conoscere. In campionato rischiammo persino di retrocedere".

Poi conclude: "Quando entravo in campo e l'arbitro fischiava il calcio d'inizio ero felice. E mi manca tantissimo il clacio. Ma anche oggi sono felice fuori da questo mondo e non sono affatto pentito della mia scelta".

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