Lazio, Acerbi si racconta: "Ecco come ho sconfitto il tumore. Non sono invincibile, ma adesso..."

pubblicato il 26-1-2019 alle 13.01
27.01.2019 06:35 di  Tommaso Guernacci  Twitter:    vedi letture
Fonte: Corriere della Sera
Lazio, Acerbi si racconta: "Ecco come ho sconfitto il tumore. Non sono invincibile, ma adesso..."
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© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

Nessuno è invincibile. Forse quando si è giovani, all'apice del successo, pensiamo di esserlo. Tutto sembra andare per il meglio. Ma ecco che di colpo, all'improvviso, tutto cambia. E come cambia? Arriva Lui. Si fa fatica anche a pronunciarlo, a chiamarlo per nome. Ma si combatte, si lotta come un leone. Per ben due volte. Qualcun altro avrebbe mollato sicuramente. Non Franceso. Non Acerbi, che come l'evangelista Marco ha fatto del leone il proprio simbolo. Un leone alato: la forza del felino per rialzarsi, le ali dell'aquila per spiccare definitivamente il volo. In una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, il difensore della Lazio ha riavvolto il nastro del suo passato: l'arrivo al Milan, la poca professionalità nell'ambito lavorativo, il tumore, la chemioterapia e la definitiva rinascita con la maglia della Lazio. Tutto questo a testimonianza di come la forza di volontà - nello sport come nella vita - valga eccome: "Sono molto felice di essere un testimonial dell’Airc. Al Milan mi sentivo invincibile, libero di fare casini e andare in giro per locali a bere tanto alcool. Anche se poi sul campo andavo lo stesso forte. Il fisico mi ha aiutato e la fortuna è stata dalla mia parte. Avevo da poco finito la mia esperienza al Milan, nel 2013: una normale visita di controllo da parte dei medici, hanno trovato un nodulo a un testicolo; sono stato operato immediatamente. Che non fossi un invincibile l’avevo capito già al Milan. Se non fai una vita da atleta a quei livelli si paga il conto".

LAZIO, ACERBI CALCIATORE - "Può sembrare strano, ma che nella vita volessi fare davvero il calciatore l’ho capito dopo la malattia. Per molti anni ho dato tutto grazie alle doti che mi ha regalato la natura. Giocavo, ma forse la passione l’avevo perduta. Mi è ritornata. Mia mamma, la migliore delle madri, mi coccolava eccessivamente, mi faceva andare in bestia. Avevo bisogno di qualcuno che mi invitasse a vedere la tv, a fare la spesa. Insomma, che non mi facesse sentire malato. Mio fratello è stato fondamentale. I dottori mi avevano detto che dopo l’operazione tutto si sarebbe risolto. Non fu così. Dopo altri controlli mi dissero che con il tumore non si sa mai, si può espandere. Meglio fare la chemio. La feci. Ero preoccupato per i miei familiari, non per me stesso. Facevo una vita normale. Corsa, cyclette e divertimento la sera. Ho pensato: così si sconfigge il male. Ero sicuro di guarire. Adesso prego due volte al giorno: al mattino e alla sera. Però non è che sia diventato santo. Di casini ne combino ancora. Ma rispetto a prima ora so chi sono. Distinguo il bene dal male. So di chi posso fidarmi. E ho allontanato le persone che considero negative”