ESCLUSIVA - Ciro Muro: "Squadra e tecnico facciano quadrato, ma se qualcosa si è rotto..."

Quando giochi in una squadra dove c’è Diego Armando Maradona, quando vinci uno Scudetto, il primo nella storia di una città che diventa squadra. Quando cresci sui campetti di San Pietro a Patierno e finisci a giocare al San Paolo, all’Olimpico, quando i tuoi compagni di squadra si chiamano Giordano, Careca, Bagni, Ferrara, che ti prendono per mano, ti consigliano, quando poi prendi tu per mano Monelli, Galderisi, Rizzolo, significa solo una cosa: che sei un predestinato. Che se ti chiamano “Murodona” qualcosa di vero ci sarà, che non sei solo bello e “guaglione”, come cantava Carosone, ma che il talento, la classe, ce l’hai davvero. Forse non basta una carriera per dimostrarlo, forse Ciro Muro, che la redazione del Lalaziosiamonoi.it ha contattato in esclusiva, ha solo sbagliato epoca, è solo stato l’uomo giusto al posto sbagliato. Chi vi scrive si emozionava con quella Lazio, con la Lazio di Ciro Muro, l’ultima a conoscere l’onta della Serie B, ma una delle poche a sentire sulla pelle l’amore, infinito, della gente per questi colori. Lo dice anche lui, che rimanere alla Lazio sarebbe stato fondamentale. “Sarei rimasto, avevo ancora un altro anno di contratto, ma ho fatto un casino, (ride, ndr), ero troppo giovane…”. Fu mal consigliato, storie di contratti, di prospettive, e se ne andò, con la classe ed il talento, in giro per l’Italia. Tanto Sud, tante piazze, sempre col ciuffo al vento, però. Poi Ciro si accomoda in panchina: trafila delle giovanili del Napoli: Beretti, Giovanissimi e Allievi Nazionali (la Primavera che ha perso la finale di Coppa Italia contro la Juventus lo scorso aprile l’ha plasmata lui); siccome la riconoscenza non è di questo mondo , la società partenopea gli dà il benservito due anni fa. Ciro non si scompone, s’aggiusta il ciuffo e riparte dalla Serie D: da quest’anno allena il Mariano Keller, fucina di giovani talenti della metropoli napoletana e onorevolmente piazzata a centroclassifica nel girone H. Lo contattiamo proprio alla fine degli allenamenti pomeridiani: ne esce fuori una piacevole chiacchierata a metà tra il “come eravamo” e l’attualità più stringente.
Mister, partiamo subito dai giorni nostri. Lazio e Napoli: rose diverse, strategie e portafogli imparagonabili, momenti simili, però, gli attuali. Chi sta peggio, la Lazio o il Napoli?
“Va fatta una premessa. Entrambe le squadre, forse più la Lazio, sono squadre solide, quadrate. Pagano situazioni diverse, contingenti ma diverse l’una dall’altra. La Lazio ha subito molti infortuni, non ha avuto lo stesso modulo di gioco per più di una partita. Il Napoli paga anche un assetto dispendioso: se pensiamo a quanto spendono i terzini partenopei, che spesso si tramutano in ali vere e proprie, a quanto spesso gli interni di centrocampo rimangono senza protezione, si può capire quali possano essere le difficoltà. Ripeto, però, che di fondo le due rose sono assai equilibrate; la soluzione ai problemi risiede nella capacità delle stesse”.
Petkovic pare non avere più il polso della situazione, in campo sconfessa i moduli scelti. Sembra scontato un suo commiato dalla Lazio a fine stagione, se non addirittura già in invenro. Le chiedo cosa guadagnerebbe la Lazio da un addio anticipato del mister e cosa invece pagherebbe?
“Io credo che al momento squadra e tecnico abbiano solo una missione: stringersi intorno ad una causa comune e fare quadrato più possibile. Sono un uomo di campo, sono stato calciatore; so perfettamente come si può uscire da situazioni come questa, puntando soprattutto sulla qualità, che non manca in casa Lazio, se pensiamo a Candreva, Hernanes, solo per citarne alcuni. Diverso è il discorso se qualcosa si è rotto. Se così fosse, se il gruppo non seguisse più il tecnico, la società dovrebbe ripensare la situazione; sfortunatamente, e ora che alleno lo dico con maggiore cognizione di causa, nel calcio i primi a pagare sono gli allenatori, ma non è sempre detto che un cambio tecnico porti benefici”.
Il mercato di gennaio, questo sconosciuto. Sono tre anni che la Lazio “cicca” la sessione di riparazione. Quest’anno, secondo lei, c’è necessita di intervenire e, nel caso, in quale reparto?
“Secondo me il settore dove ci sarebbe necessità di un intervento è il centrocampo. Trovo la manovra della Lazio, lenta, senza velocità e aggressività che sono necessarie in un calcio tecnico come quello di oggi. Al di la degli interpreti e delle loro indubbie qualità, non posso non notare un Hernanes in confusione, che non riesce a prendere in mano la squadra come il suo talento richiederebbe. Soprattutto nella fascia centrale del centrocampo laziale vedo approssimazione e poca lucidità”.
Uno sguardo al passato, un occhio al presente: Gian Marco Calleri e Claudio Lotito, due presidenti che sono spesso paragonati perché intervenuti in momenti complicati della storia della Lazio. Trova delle similitudini tra i due?
“Calleri amava la gente laziale, i tifosi, capiva che erano un patrimonio. L’epoca era quel che era, anche lui aveva il suo carattere, ma costruì la squadra per tornare in Serie A e ci riuscì. L’anno successivo si sforzò di regalare ai tifosi una squadra tale da raggiungere la salvezza senza troppi patemi, e ci riuscì di nuovo. Nessuno può smentirmi se dico che pose le basi per quella che fu poi la Lazio stellare di Cragnotti, che rilevò una Lazio magari povera ma sana. Lotito è, per la mia opinione, un presidente che ha fatto e sta facendo bene per la squadra. Anche da quaggiù arrivano gli echi di quanto poco sia amato, ma i fatti gli danno ragione: la Lazio si è attestata ai vertici del calcio italiano sotto la sua presidenza. Va da se che si può sempre migliorare”.
Lei che ha visto la Lazio risorgere, tornare nella categoria che le appartiene, sospinta dal suo popolo innamorato, cosa direbbe ai tifosi di oggi, che in questo momento vivono un misto di rabbia e rassegnazione, tanto da disertare volontariamente la ripresa degli allenamenti, lasciando la squadra nell’indifferenza più glaciale del vento di questi giorni.
“Direi loro che un come me, che viene da Napoli e non dallo sprofondo, ancora se li ricorda. Ancora ricorda l’amore, la passione, quelle aquile d’oro appese al collo con la camicia aperta, quei tifosi arrampicati sugli alberi in ritiro. Direi loro che la Lazio è la loro e di nessun altro, che appartiene solo a loro. Loro sanno che non possono lasciarla sola, e non lo faranno. Capisco l’amarezza e lo scoramento, ma la Lazio ha bisogno di loro e loro della Lazio. Io ce li ho nel cuore, e stare nel cuore di un napoletano significa 'averla fata grossa'. Dove c’è la Lazio, là sono i suoi tifosi. Gli direi solo questo”.