FOCUS - Festa delle donne, le tifose biancocelesti: cuore e passione nel nome di Mafalda

“La curiosità è donna”, dicono. Ha curve sinuose, morbidezze accentuate ed è cosparsa dai fiori gialli della mimosa. A furia di sentirselo ripetere anche le donne hanno finito col crederci. E dalla curiosità non si sono più separate. C’è ad esempio chi la nasconde nel portafogli, tra la patente e l’abbonamento della Lazio. Ognuna la conserva in un posto che è lì, sempre a portata di mano. Mafalda di Savoia, la prima tifosa biancoceleste, la teneva nella sua borsetta.
NEL NOME DI MAFALDA - La portava con sé tra le strade della Roma degli anni trenta del secolo scorso. È da lì che deve esserle caduta quando un giorno decise di assistere alla partita di quello sport che la Lazio aveva portato proprio nella sua città. Curiosa iniziò a seguire quella squadra. Fino a quando il 29 gennaio del 1933 la società biancoceleste decise di rendere omaggio alla sua presenza sugli spalti dello Stadio della Rondinella. Sì, perché Mafalda – detta Muti – era un personaggio illustre. Secondogenita di Re Vittorio Emanuele III e moglie del nobile Filippo d’Assia. Alla prima squadra della Capitale era particolarmente legata. Si dice che conoscesse di persona tutti i giocatori. Anche per questa ragione proprio in occasione di quel Lazio – Bologna del ’33 il presidente Antonio Buccioni decise di conferirle la tessera di socio onorario. La numero uno. Mafalda fu la prima ufficiale tifosa biancoceleste. E quella tessera nella sua borsetta prese il posto della curiosità. Dovette per forza rinunciare a qualcosa. Nella sua pochette di spazio non ce n’era più. C’erano già la fierezza, la generosità, il coraggio e la tenacia. Tratti del suo carattere che dalla borsa della loro antenata sono finiti nell’indole delle tifose biancocelesti di oggi.
LA SUA FIEREZZA – Un po’ del suo orgoglio è finito negli occhi di Elena Fabrizi, meglio conosciuta come la Sora Lella. A chi le chiedeva perché tifasse con tanto vanto la Lazio rispondeva: “Quando so nata io a Roma c’era solo la Lazio”. E lo diceva con quello sguardo contrariato di chi sa di aver appena ripetuto l’ovvio. Guai a chi osava contraddirla. Nella Capitale è praticamente una leggenda. È parte della 'romanità' e infatti tifava la squadra che per prima proprio a Roma aveva portato il calcio. Entrata nel cuore dei tifosi biancocelesti lì è rimasta. Ogni domenica dalla Curva Nord guarda con lo stesso sguardo truce chi osa sfidare la sua Lazio. Dall’immensa bandiera che accarezza l’atmosfera dell’Olimpico segue la partita. Fiera dei suoi colori.
LA SUA GENEROSITÀ – Dalla borsetta di Muti all’animo di Suor Paola. Che proprio spinta dalla sua magnanimità si avvicinò alla Lazio. Quando cercava aiuto per i suoi ragazzi fu il club biancoceleste ad aprirle tutte le porte. Ha portato il nome della sua fondazione – la So.Spe. (Solidarietà e Speranza) – sulle maglie con l’aquila cucita all’altezza del cuore. Spesso è presente in tribuna, lì pronta a ricambiare il sostegno ricevuto da quella che è ormai diventata la sua squadra. Da una vita aiuta gli ultimi (vittime di violenza e povertà, detenuti e famiglie disagiate). Generosa e grintosa, come la Lazio.
IL SUO CORAGGIO – Da tempo è entrato negli scarpini di Patrizia Panico. A 19 anni la portò a esordire in Serie A, indossando proprio la maglia biancoceleste. Non si è accontentata degli spalti, lei ha voluto scendere in campo. E sul prato verde ha dato prova del suo coraggio. Contro avversarie e pregiudizi. Tra le fila della Lazio Femminile ha vinto uno Scudetto e due Coppe Italia. Al club biancoceleste è legata ancora da un immenso affetto. L’audacia che Mafalda aveva nella sua borsetta ha portato Patrizia ad imporsi anche nell’universo maschile. Oggi infatti è assistente tecnico della Nazionale Italiana Under 16. La prima donna ad allenare una squadra maschile.
LA SUA TENACIA – È stata cucita sulla sciarpa di Chiara Insidioso. Quella che portava con sé allo stadio. La stessa che suo padre aveva riposto vicino al letto d’ospedale mentre sua figlia – vittima della ferocia umana - lottava tra la vita e la morte. Ma Chiara quella battaglia l’ha vinta. Lo ha fatto per se stessa, per la sua famiglia e per la voglia di continuare a seguire la Lazio. Forza e audacia scorrono nel suo sangue biancoceleste. Ha seguito i dettami dell’inno che cantava dalla Curva Nord: “Non mollare mai”. E ancora oggi è la tifosa numero uno di Lulic e compagni.