Nesta Jr. Alla Roma... Ennesimo schiaffo alla storia laziale, da chi la storia la teme

Il calciomercato che torna a rubare spazio al pallone che rotola. L’Europeo che cala il sipario mestamente sulla debacle azzurra e accelera il cambio di scena sul mondo pallonaro. La Lazio che si modella o tenta di farlo, costretta a fare i conti con una rosa extralarge da snellire di corsa a pochi giorni dal ritiro di Auronzo di Cadore. Petkovic è a Formello e smania di conoscere la Lazio che verrà. Vecchi e nuovi talenti da amalgamare e modellare insieme. Ederson già annunciato, Yilmaz per l’attacco (si spera), Balzaretti e Breno per la difesa e poi una coltre di fumo su tutto il resto. Nomi, candidature e piste più o meno battute. Ipotesi urlate sulle prime pagine dei giornali o nei titoli delle testate online, che un attimo dopo esser finiti in circolazione finiscono quasi per direttissima nel dimenticatoio. Tutto passa e quasi nulla rimane. Brucia ogni cosa nel forno di Caronte, ardente ormai da giorni. Tutto appunto, ma non proprio. Ci sono notizie che rimangono e non vanno più via. Ci sono vicende che vorresti cancellare nell’attimo dopo in cui ne vieni a conoscenza ed invece ti restano scolpite dentro, aggrappate nell’abisso più profondo. “Nesta va alla Roma” recita la cronaca di ieri. Nesta Gianmarco, nipote di Alessandro ex capitano della Lazio sarà il nuovo attaccante dei giovanissimi giallorossi. E’ il nero su bianco che non mente, è la realtà che supera l’inverosimile. Una fitta profonda al cuore, che quasi mi blocca il respiro. È il destino beffardo che si prende ancora gioco del laziale. Di primo acchito penso ad uno scherzo di cattivo gusto, ma presto la verità prende il sopravvento e mi accorgo che per il laziale è l’epilogo dell’ennesimo smacco. L’ho spiegato in Radio nella trasmissione che conduco su Radio Sei e lo specifico nel mio editoriale ora. C’è gente che in quel 2000 assiepava i gradoni dell’Olimpico e gioiva per una Lazio in cima al mondo. C’erano ragazzi innamorati dei loro idoli. Veron incantava, Simeone esaltava, Almeyda era l’eroe in mezzo al campo, Mancio la fantasia, ma Alessandro Nesta era il cuore, lo spirito, di quella banda di campioni. Il numero 13 stampato sulle spalle, l’aquila cucita sul petto e la fascia da capitano al braccio. Sogno divenuto realtà. Massima aspirazione di qualsiasi giovane aquilotto: crescere dentro quella casacca per misurarsi con i grandi, ma soprattutto per conquistare i piccoli. “Sandro Nesta, Sandro Nesta, la la la lalalala”, mi pare ancora di ascoltare il riecheggiare del coro dedicato al capitano di quella splendida squadra. Era il 2000 e scherzo del destino fu l’anno in cui Gianmarco Nesta nipotino di Alessandro e figlio di Fernando vedeva la luce. Zio capitano, papà presidente del Sabina Calcio. Wolfango Patarca (storico Responsabile della Scuola calcio biancoceleste) maestro di vita e quella passione di famiglia cucita in una sfera a scacchi, che scorre nelle vene. Si chiama Gianmarco ed è l’attuale erede di Alessandro, quel prodigio promosso da Zeman titolare in serie A, che ha scritto una carriera calcistica da numero uno. Un cognome importante che per ora pesa nell’attesa di importanti conferme future, ma in tanto già sa far scalpore. Un marchio di fabbrica che sa di Lazio fortemente, decisamente, come sa di Lazio Alessandro Nesta, consacratosi nel Milan dei campioni, ma laziale dentro, nelle viscere. Lo smacco è forte è duro. “Andrà alla Roma, nonostante lo abbiamo proposto alla Lazio”, ha tuonato Patarca a Radio Sei. “Non è vero è un bugiardo a noi non lo ha mai portato” ha replicato il gen. Coletta (attuale Resp. Della Scuola Calcio Lazio) e per chiudere il cerchio delle accuse reciproche arrivano anche le parole della società. “Voglio ricordare che Patarca due anni fa circa, disse a Radio Radio che la Lazio era stata molto sensibile alla vicenda di Gianmarco Nesta Li invitammo a Formello e gli dicemmo che per loro le porte della Lazio sarebbero sempre state aperte”. Parola di Tare, che come un pompiere abbandonato al suo destino nell’inferno di cristallo biancoceleste, è corso ha gettare acqua sul fuoco di una polemica divampata all’improvviso. Nesta d’amare, Nesta che divide, quello stesso Nesta che avrebbe potuto riunire. “Abbiamo tentato di riportarlo a casa, ma lui ha detto no” ha concluso il diesse Laziale sulle frequenze di Lazio Style Radio sui 100.7 fm e il riferimento stavolta va dal piccolo Gianmarco allo zio Sandro. Una ferita aperta, rimasta dolente sin dagli anni della cessione al Milan. Èra tutta un’altra epoca quella lì, con altra gente e un altro presidente. Le scelte impopolari del post scudetto furono figlie di una devastante crisi finanziaria, che mise a serio rischio la vita della società stessa. I laziali l’accettarono a malincuore, Nesta pure. Era il 2002 e da quel giorno fra l’ex capitano e il suo vecchio amore furono solo silenzi. Poco male se non fosse per il solito schiaffo inferto alla storia da parte del Presidente Lotito. “Nesta ? Non ci interessa è bollito…”. Una ferita quando sanguina va arginata. Un dolore quando è acuto va lenito, ma a questo la Lazio di oggi è più che refrattaria. Nesta è volato a Montreal e con l’italia che rotola sul campo non vuole più aver nulla a che fare. La Lazio la nasconde nel cuore e la porterà con se per sempre. I campioni fanno come lui non rispondono alle provocazioni. I campioni sono i Nesta e i “Pulici di turno” (come lo ha apostrofato Lotito), quelli che il patron biancoceleste: soffre, allontana e forse teme. I campioni vanno rispettati come fanno le società gloriose di mezzo mondo. I campioni sono quelli che non ingombrano, ma ispirano, sono quelli che conquistano e raccontano la storia di un club, per chi la storia ce l’ha. I grandi del passato sono da ispirazione per i talenti del futuro. Zio Sandro ha iniziato alla Lazio con la palla fra i piedi, Gianmarco corre nella Roma dietro i suoi desideri. Sulla maglia è cucito lo stesso cognome, ma le tinte sono decisamente opposte. È sempre calcio, è sempre sogno, è comunque l’inizio di un’altra storia di sport. Buona fortuna piccolo Nesta, con te è andata in fumo un’altra occasione per unire, anziché dividere.