Floccari ricorda la Lazio: "Una settimana folle quella del 26 maggio! Il mio gol alla Juve..."

RASSEGNA STAMPA - Sergio Floccari è partito da zero. Da un paesino della Calabria dove risiedeva con la famiglia, percorreva 200 km al giorno con il papà per arrivare agli allenamenti del Catanzaro. Una vita fatta di sacrifici, ma l'ex attaccante, che ha rilasciato una lunga intervista alla Gazzetta dello Sport, ricorda che "dopo i due gol segnati alla Juventus con il Messina, ho visto mio padre commosso in tribuna. Tutti quei viaggi avevano trovato un senso. È stato come chiudere un cerchio". Oggi Floccari si trova a Londra, dove sta studiando per diventare direttore tecnico. Nella chiacchierata ripercorre oltre vent’anni di carriera, soffermandosi sulla lunga e prolifica esperienza con la Lazio di Reja e il 26 maggio.
La vittoria della famosa Coppa Italia non sarebbe potuta esserci se Floccari non avesse segnato alla Juve in semifinale. Una zampata al 94’ indimenticabile: "Andammo in vantaggio noi, poi allo scadere arrivò il pareggio di Vidal. Sembrava finita, invece due minuti dopo sbucai io: 2-1 al 94’. Ricordo l’Olimpico in delirio", racconta ancora con entusiasmo.
Per chi l’ha vissuto, il 26 maggio non è stato solo un derby, ma qualcosa di molto più profondo. Floccari ammette che, quando torna a Roma, la gente lo ferma ancora per strada per ringraziarlo. Fu una settimana folle, dice, nella quale "non ho chiuso occhio per quattro o cinque notti di fila". E non era la prima volta: anche dopo il rigore sbagliato nel derby di tre anni prima non riuscì a dormire. "Fu una stagione difficile — ricorda — noi lottavamo per la salvezza, la Roma per lo scudetto. Sbagliare quel rigore mi fece davvero male".
Alla Lazio era arrivato a 28 anni, con la testa sulle spalle e uno stile di vita semplice. Per Edy Reja, però, era un vero regista d’attacco, un ruolo nel quale si è riconosciuto pienamente. "Mi ha messo al centro del suo gioco. Sapevo calciare con entrambi i piedi, avevo una buona elevazione, ma non sono mai stato una prima punta pura. Con lui ho fatto tanto lavoro di raccordo per la squadra".
Nel tempo si è definito un “operaio del pallone”, e non rinnega quella definizione: non per mancanza di tecnica, ma per il percorso affrontato. "Se parti dai dilettanti, è più difficile arrivare", spiega. Eppure, i suoi gol non sono mai mancati. Quando gli si chiede quale sia il più bello, ne cita due: "Quello al Maribor con la Lazio e uno al Milan con la maglia della Spal. Segnai a Donnarumma da trenta metri, mica male".