Lazio fuori dal parametro 0,7: così il mercato 2026 è in bilico
C’è un’immagine che racconta la Lazio meglio di qualunque tabellino: la squadra si rialza, il campo torna a parlare, Sarri ricostruisce ritmo, identità, armonia. Ma mentre la parte più visibile del club riprende a respirare, quella nascosta — la stanza dei conti — continua a mandare segnali d’allarme. L’ultimo bilancio chiuso al 30 giugno 2025 dice tanto: ricavi scesi a 143,49 milioni, quasi cinquanta in meno rispetto alla stagione precedente, un rosso da –17,16 milioni e un patrimonio netto tornato in negativo. Numeri che non si possono ignorare, perché sono il confine tra stabilità e rischio.
Il cuore del problema è il costo del lavoro allargato, stimato tra 125 e 130 milioni tra stipendi, ammortamenti e oneri vari. Troppo alto rispetto ai ricavi attuali, soprattutto ora che la FIGC ha irrigidito l’indice passando dal vecchio 0,8 al nuovo 0,7, imponendo che la spesa complessiva per la rosa non superi il 70% dei ricavi. Con ricavi assestati intorno ai 143 milioni, il tetto si ferma poco sopra i 100 milioni. Ed è qui che nasce il cortocircuito. Perché se è vero che la Serie A è piena di club messi peggio: bilanci in rosso, indebitamenti impressionanti, perdite croniche. Il nodo della Lazio non è tanto la spesa. È la totale incapacità di alzare l’asticella dei ricavi.
La Lazio non ha un modello di crescita commerciale, non espande la base dei ricavi strutturali, non accompagna la competitività sportiva con una strategia economica moderna. E allora, se i ricavi non salgono, l’unico modo per rientrare nel parametro è l’altro: tagliare. Tagliare costi, tagliare investimenti, tagliare ambizioni. È una camicia di forza autoinflitta. Ed è la stessa logica che nell'estate del 2025 ha portato al blocco del mercato, una ferita ancora aperta tra i tifosi. Anche adesso il rischio è lo stesso: non evolversi, non crescere, ma sopravvivere. E sopravvivere, nel calcio moderno, non basta più.
E allora la domanda che rimbalza nell'ambiente biancoceleste è inevitabile: perché la Lazio continua a rifiutare ciò che tutta la Serie A sta accogliendo?
Il campionato si sta popolando di capitali stranieri, fondi internazionali, investitori che portano capacità finanziaria, infrastrutture, progetti, visione. L’Italia calcistica cambia pelle, mentre la Lazio resta la stessa: un club governato da una sola persona, da ventuno anni, con un modello gestionale che non regge più il confronto con il resto del sistema. Perché Lotito non ripensa al suo ruolo? Perché non considera l’idea di cedere parte o tutto, il pacchetto azionario a un investitore capace di dare respiro, struttura, futuro?
Il rischio, oggi, non è teorico: è tangibile.
La barca balla. La burrasca economica non è un’invenzione giornalistica: è scritta nei numeri, nei limiti imposti dalle norme, nella curva discendente dei ricavi. Se il vento non cambia, se non entra una forza nuova, la Lazio rischia di annegare con tutto il suo potenziale a bordo.
La squadra sta tornando a correre. Ma il club sta ancora affondando.
E prima o poi, se nessuno cambia rotta, l’acqua arriva ovunque.
