Lazio, Pupavac racconta il doc la Guerra Eterna: "I tifosi, il derby e la curva. E su Milinkovic..."

17.06.2025 11:00 di  Chiara Scatena  Twitter:    vedi letture
Lazio, Pupavac racconta il doc la Guerra Eterna: "I tifosi, il derby e la curva. E su Milinkovic..."

Nei giorni scorsi è uscito un documentario su YouTube che ha come oggetto il derby di Roma e dietro al video c’è Aleksandar Pupavac, un ragazzo serbo che, con il suo amico Marko, ha avuto l’idea di far conoscere al mondo quella che può essere considerata -  calcisticamente -  “La guerra eterna”. Non solo Lazio-Roma, però: in programma ci sono già dei video su altri derby europei,  come Siviglia-Betis o Panathinaikos-Olympiakos.

Aleksandar, che è anche un grande amico di Milinkovic da ancor prima che approdasse alla Lazio, ha raccontato in esclusiva ai nostri microfoni come è nata l’idea e alcuni retroscena sul progetto.“Io sono laziale fin da piccolo. Mia zia stava con un laziale e mi regalava sempre le sciarpe, le maglie… così è nato l’amore per la Lazio. Per il compleanno mia madre mi fece addirittura la torta a tema. Mia zia poi abita a Roma, quindi è stato più facile continuare a seguirla. La mia prima partita allo stadio è stata Lazio-Juve, nel 2011. Poi mi sono trasferito e l’amore è rimasto, per questo ho più conoscenze nell’ambito laziale: so che nel documentario ci sono alcune mancanze nella sponda romanista, ma purtroppo non conosco molte persone”.

Com’è nata l’idea di realizzare un documentario sul derby di Roma, da parte di un autore serbo?

L’idea è nata con il mio amico Marko, che mi ha chiesto: “Perché non facciamo una cosa del genere?” Da lì ho chiesto le disponibilità, verso gennaio/febbraio, e dopo qualche mese abbiamo iniziato tutto quanto. Siamo arrivati a Roma la prima volta a marzo, prima del derby, e abbiamo fatto tutte le interviste. Poi di nuovo al derby ad aprile e abbiamo completato il lavoro. Pensavo ci volesse qualche settimana a montare e editare tutto, e invece… due mesi.

C’è un derby in Serbia che secondo te può reggere il confronto con quello romano in termini di intensità e rivalità?

Sì, ma adesso il calcio in Serbia non si segue più come prima. Prima Stella Rossa-Partizan era un fuoco, come Lazio-Roma, ma poi lo Stella Rossa ha preso il via. Da dieci anni ormai si sa già che loro vinceranno lo Scudetto, non c’è più competizione e quindi si sente di meno. La gente non va più allo stadio: prima si arrivava anche a 60mila spettatori, adesso, invece, all’ultimo derby ce ne erano 14mila. O meglio, così hanno scritto, ma secondo me non ci arrivavano neanche.

Abbiamo visto che hai avuto modo di confrontarti sia con laziali che romanisti. Che differenze hai notato tra il tifoso biancoceleste e quello giallorosso?

Non ho sentito la stessa passione, lo stesso fuoco. Nel documentario ho intervistato Daniele Caminati, lui l’ho sentito parlare proprio dal cuore. Non so se con il fatto che sia mio amico “voleva fare meglio” (ride, ndr), però è quello che ho percepito. Ho sentito proprio la differenza nel modo di parlare della propria squadra. Volevo comunque ringraziare tutti coloro che hanno accettato di partecipare, anche Andrea Salvitti (tifoso della Roma, ndr); loro sono i ragazzi di Eternal City Tattoo. Nel documentario c’è anche Fabio Petruzzi, che conosco perché giocavo a calcio a Roma e lui mi allenava. Mi dispiace non aver potuto intervistare un altro giocatore della Roma, avrei coperto di più la parte giallorossa… Ma quello che potevamo fare l’abbiamo fatto.

Nel documentario si parla anche di Milinkovic, che è stato a Roma diversi anni e di cui tu sei amico. Come vi siete conosciuti? Che rapporto vi lega?

Con Sergej siamo proprio amici, abbiamo vissuto insieme 6 anni quando era a Roma. Anche con Adam Marusic siamo molto legati. Con Milinkovic giocavo insieme in Serbia, poi a 18 anni mi sono trasferito a Roma e ho visto sul giornale la notizia che era conteso tra Fiorentina e Lazio. Avevo detto “Oh, a questo punto vieni alla Lazio!”. È successo quello che è successo ed è arrivato a Roma. Poi siamo andati a cena una volta, piano piano mi ha preso i biglietti per lo stadio e dopo poco siamo finiti ad abitare insieme per 6 anni all’Olgiata. Ci conosciamo dalla Serbia, ma ora siamo proprio amici stretti.

Nelle ultime ore si è parlato di un possibile ritorno in Italia, sponda Fiorentina, che era stata vicina a ingaggiarlo 10 anni fa, prima che lui scegliesse la Lazio. Cosa c’è di vero?

Sinceramente non gliel’ho neanche chiesto. Per me non si può fare, è stato detto giusto per fare clickbait. Ripeto, non gliel’ho chiesto ma, dopo tutto quello che è successo dieci anni fa, non ci credo proprio.

Cosa pensi abbia significato per lui lasciare la Lazio dopo tanti anni?

Nel momento in cui è arrivato qui, non appena gli hanno dato l’appellativo di “Sergente”, ha capito subito cosa significa essere laziale. Spesso ci parlo, gli racconto cosa succede e lui si interessa ancora adesso. Quando è andato via gli è dispiaciuto, ma sappiamo che il calcio, purtroppo, è questo. Dobbiamo accettarlo.

A Roma è stato ed è tutt’ora immensamente amato. Come ha detto Marusic proprio nel documentario “Ancora oggi, quando si pronuncia il suo nome, ogni tifoso della Lazio prova grandissimo affetto”. Pensi che potrebbe mai tornare alla Lazio?

Chissà, magari un giorno tornerà. Non gliel’ho mai chiesto, è una domanda un po’ scomoda, ma spero tanto che quel giorno arriverà, e come me tutta la gente laziale.

Milinkovic è stato uno di tanti serbi passati per Roma, nel documentario abbiamo visto anche una parte dedicata a Mihajlovic. Lo conoscevi?

No, però ho la sua maglia del centenario grazie a mia zia: gliela chiese e lui gliel’ha portata subito dopo l’allenamento. È una maglia intoccabile. Sinisa non l’ho conosciuto, ma conosco il figlio Dusan: un ragazzo bravissimo, quando abitavo con Sergej passava sempre a salutare. Ha accettato subito di partecipare al documentario.

E a proposito del documentario, qual è stata la parte più difficile da raccontare?

Proprio questa riguardante Sinisa. Anche Disegnello si è commosso nel ricordarlo. Sentire tutte quelle persone parlare così di lui mi ha fatto capire ancor di più quanto fosse grande e una brava  persona. Amato e rispettato anche dai romanisti, nonostante poi nel tempo sia diventato una bandiera della Lazio. Anche Petruzzi, che l’ha conosciuto alla Roma, l’ha detto: era un ragazzo d’oro. Purtroppo è andata così.

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