Venticinque anni fa l'estate più incredibile della storia della Lazio...

Sono volati 25 anni, roba da brividi a pensarci. E’ passato un quarto di secolo da quando la Lazio affrontò la sua tempesta perfetta. Estate 1986, nel mare del calcio italiano naviga un vascello malandato e traballante, sballottato da spruzzi d'acqua e colpi di vento. “Hey Mister, hey Mister” recita il refrain della canzone di uno strano gruppo nell'estate che incorona Maradona padrone del Mondo dopo le magie del ‘pibe de oro’ ai mondiali in Messico. Il brano tormentone si intitola “One step”, il gruppo si chiama Kissing the Pink.
Nell'orizzonte della Lazio se ne vede poco di rosa e il mister chiamato a sostituire l’amatissimo Gigi Simoni risponde al nome di Eugenio Fascetti. Stropicciato e spettinato ancor prima di affrontare i venti, ha fatto in fretta a guadagnarsi i galloni di Master and Commander a bordo del vascello laziale e ad entrare nel cuore della gente che segue in trepidazione, sul molo, il varo della nave. Alla sua guida il Varese qualche anno prima ha sfiorato la promozione in serie A. Un sogno svanito proprio all'Olimpico contro una Lazio disperata, partita per andare in serie A e salvata da una incredibile retrocessione in serie C da Vincenzo D'Amico. Le magie di Vincenzo mandarono in frantumi i sogni di gloria della squadra del “casino organizzato”. Era questa la definizione data dal tecnico toscano al suo modulo a zona mista lanciato con quel Varese e affermatosi poi con il Lecce, che sotto la guida di Fascetti conquista la prima storica promozione in serie A. Parentesi breve quella a Lecce, segnata però da un’impresa che ha fatto entrare Fascetti nel cuore dei tifosi biancocelesti ancora prima del suo sbarco a Roma alla guida della Lazio. Qualche mese prima, infatti, Fascetti che laziale lo era già stato, da giocatore, senza lasciare tracce profonde, con una squadra già retrocessa scuce in un Roma-Lecce che sembra già segnato lo scudetto dal petto della squadra di un giovanissimo Sven Goran Eriksson. Un’impresa firmata Barbas e Pasculli. Sono loro a firmare il clamoroso 2-3 in un pomeriggio assolato, preceduto dal giro di campo “iettatorio” dell’allora Sindaco di Roma, Signorello. Il terremoto che non ti aspetti in una delle tante domeniche da incubo negli anni 80 laziali. I dirimpettai ad un passo dallo scudetto, al culmine di una rimonta clamorosa sulla Juventus, inciampano sull’ultimo ostacolo in una squadra già retrocessa. Ma quando il finale sembra già scritto, ecco il toscanaccio che urla e scatena i due nanetti cattivi.
Eugenio ci regala un sorriso, e poteva anche bastare. Ma era solo un'onda schivata. Troppe ne erano già finite addosso a quel vascello laziale malmesso, e tante ne sarebbero arrivate ancora a far vacillare pericolosamente gli alberi, a strappare le vele. C'era stato il nuovo addio di Chinaglia dopo uno scellerata presidenza, i cristalli rotti all'Hotel Sheraton e la malinconica fuga preceduta dalle ultime verità, nella saletta della Freccia Alata a Fiumicino.
E la parentesi Chimenti, la squadra guidata da Gigi Simoni senza stipendi e impantanata a metà classifica in B, con lo spettro della C dietro l’angolo dopo quell’incredibile Lazio-Vicenza che aveva infranto il sogno promozione, lo sputo e il calcio alla maglia di Malgioglio che aveva scatenato un incendio a bordo. Un problema in un mare di problemi. I libri contabili erano finiti in tribunale nelle mani di un giudice dal nome emblematico: dottoressa Carestia, si chiamava.
Ricordiamo la 24 ore di Michele Plastino per sensibilizzare l’ambiente e trovare un nuovo padrone: le illusioni dell’assegno sventolato in diretta tv (chiaramente scoperto) dal marchese Gerini, poi le speranze per l'avvento dei fratelli Calleri e di Renato Bocchi. Lazio salva, ma sembra un salvataggio inutile quando la Lazio annega poche settimane dopo nel gorgo dell’ennesimo scandalo. Sono i giorni delle accuse di Armandino Carbone, delle rivelazioni sui maldestri movimenti dell'ex napoletano Vinazzani ora giocatore laziale, giorni che accompagnano gente piegata e quasi rassegnata verso la sciagura di un verdetto che sembra già scritto. Non conta più nulla la squadra ricostruita con Terraneo, Pin, Poli, Fiorini, Caso, Gregucci e Camolese, sembra vana la difesa lucida del Professor Natalino Irti. Il primo grado sembra già una lapide: Lazio retrocessa in serie C per gli illeciti del Totonero.
Seguono cortei e tafferugli in una città rovente e svuotata dalle ferie.
Le ombre si allungano in anticipo in una sera d'agosto prima di un'inutile partita di Coppa Italia con il Napoli all'Olimpico e soprattutto prima della sentenza definitiva, quella della CAF. Fascetti decide per una squadra di ragazzini contro il Napoli di Maradona che prepara la scalata allo scudetto dopo essersi arrampicato sul mondo. Finisce 0- 2, con i calcioni che volano tra Bagni, sportivissimo, e il giovane Falessi. Ma i pensieri sono altrove, a quell’albergo sulla collina di Monte Mario che guarda dall’alto l’Olimpico e dove i giudici della CAF stanno decidendo il destino della Lazio. Il Tg2, con una mossa voluta dal lazialissimo Sandro Petrucci, anticipa il verdetto della CAF: retrocessione confermata. Lo fa giusto in tempo perché gli ultimi arrivati allo stadio riferiscano a chi non ha sentito. La dritta è giusta e il direttore Antonio Ghirelli se la gioca. Per amor di professione e per simpatia biancoceleste. La rivelazione della condanna decisa è uno scoop e cambia il corso delle cose. La notizia infiamma Roma in quella calda notte: scontri allo stadio, migliaia di tifosi salgono minacciosi sulla collina di Monte Mario e stringono d’assedio i giudici asserragliati dentro l’Hotel Hilton, protetti da blindati e schieramenti di forze dell’ordine da ‘anni di piombo’. La notizia bruciata nega credibilità al lavoro dei giudici sportivi, rivela gole profonde e per evitare una rivolta popolare e al tempo stesso per preservare la credibilità della giustizia sportiva, costringe i giudici ad una notte supplementare di lavoro per riscrivere il verdetto.
La condanna del giorno dopo a nove punti di penalizzazione, ha il sapore di un verdetto di condanna posticipata e di una sentenza riparatoria. La domanda a via Col di lana, dove migliaia di tifosi laziali aspettano il verdetto è: siamo vivi, ma fino a quando? Con i due punti per la vittoria, una penalizzazione di 9 punti significa partire con 5-6 giornate in meno a disposizione rispetto al resto del gruppo. La salvezza appare come un miraggio, la discesa verso il baratro solo rimandata. Un verdetto accolto con un sadico sorriso anche dai romanisti.
Se clicchi il nome di Eugenio Fascetti su Google, viene subito fuori: “Fascetti litiga”. Ma ancora oggi balbetta, gli trema la voce se deve ricordare la riunione di Gubbio con la squadra dopo quella sentenza di primo grado del 27 luglio. Ripete quel discorso del ritiro come fosse oggi. “Liberamente furono dette tre parole: chi vuole resti...chi non se la sente può andar via subito…chi resta combatte fino alla fine. Rimanemmo tutti...”.
Quei “Bastardi senza gloria”, realizzano l'impresa più grande nella storia della Lazio dopo lo scudetto del 1974. E forse ancora più grande. Una traversata impossibile, tutta da affrontare con vento contrario. Ad un certo punto si vedono addirittura le coste della promozione, come in un miraggio. Ma poi altro vento riporta tutti in alto mare. Fino al gol di Fiorini in quell’incredibile Lazio-Vicenza, all’approdo a Napoli per gli spareggi, al gol di Poli al Campobasso. A quella salvezza impossibile e incredibile festeggiata al San Paolo con uno striscione irridente verso il Palazzo: “Nove punti non sono stati sufficienti, provate a darcene venti.....”.
Dopo 25 anni ancora se ne parla di quella stagione. Ed è giusto così. Perché senza quell'impresa non ci sarebbero stati i successi che sappiamo. Perché senza quell'impresa la Lazio sarebbe naufragata, scomparsa, forse per sempre.
Quindi, a 25 anni da quell’estate incredibile, il grazie oggi, in ordine sparso va: a Fiorini che non c'e più; a Fascetti e al suo oscuro secondo, che altri non è se non Giancarlo Oddi; Piscedda e a Gregucci, a Magnocavallo e a Terraneo, al muto Acerbis e al timido Poli, a Marino, Caso, Mandelli, Esposito, Podavini, Camolese. Ma anche a Calleri e a Regalia, a Manzini che già c'era e a Napoli piangeva. Grazie a tutti per averci regalato forse l’anno più incredibile della nostra vita... E non solo di quella di tifosi.